Questa ricetta ha tre particolarità che me la fanno amare un po’ più delle altre: è la prima ricetta marchigiana che realizzo (per la precisione è di origine maceratese); è la prima ricetta che copio senza apporre una mia personalizzazione e proviene dal volume “Ricette, Ricordi, Racconti” di Manuela Di Chiara; in questa ricetta per lo styling ho utilizzato una teiera antica originale cinese acquistata mesi fa dopo molte ricerche, che però doveva essere un regalo speciale per una persona speciale. Così non è stato e la teiera era rimasta incartata nel baule dove ripongo tutti gli oggetti che di solito uso per le foto di food. Non amando particolarmente dolcetti, muffin e biscotti, l’opportunità di usare questo piccolo gioiello era quasi nulla. Invece oggi, vedendola li, avvolta nella sua carta velina a proteggerla, ho deciso che doveva far bella mostra di se, quasi fosse una bella donna.

Ma veniamo alla ricetta: questo dolce viene preparato ancora oggi nel periodo della vendemmia, quando si ha a disposizione il mosto che in questa ricetta viene utilizzato “fresco di giornata” prima che inizi il processo di fermentazione. Non sapendo quando è il momento migliore, io vado dai viticoltori e prendo 1 o 2 Kg di uva rossa da vino e poi passo la polpa dell’uva con il passaverdure per ottenere appunto il mosto.

I filoni di mosto, in origine erano poco più che un pane addolcito dal mosto e profumato da semi di finocchio o anice. Venivano preparati in casa e portati al forno per la cottura; era quasi un rito religioso vedere il fornaio con la sua lunga pala infornare e dopo circa 30 minuti come per magia tirava fuori i filoni cotti da quel buco scuro che sprigionava un profumo unico e dal colore dorato e accattivante.