Pane, pizza, pinsa: ma quanto glutine?

Oggi volevo proporre una ricetta per realizzare (seppure con difficoltà) una buona pizza “alla romana” che sia in teglia o alla pala poco importa, in quanto l’alta idratazione necessita di alcune particolarità e attenzioni.

Ma ho subito pensato alla “moda” che vedo ultimamente soprattutto nelle pizzerie di sparare ore di lievitazione che può arrivare alle 96 ore, come se più ore di lievitazione (ma in realtà si dovrebbe parlare di “maturazione dell’impasto”) porti come conseguenza ad un sapore e digeribilità migliori.

A questo punto vorrei prima di tutto sottolineare alcune cose, visto che il mondo dei lievitati è fatto principalmente da artigiani che non sono certo dei tecnici ma che ripetono a volte senza neppure sapere o capire il perché lo fanno, un impasto così come gli è stato tramandato. Anche io agli inizi, frequentando corsi professionali, avevo ricevuto delle ricette da usare “chiavi in mano” ma la mia indole tecnica mi ha portato a studiare e capire la chimica e la tecnica del processo. Questo fa la differenza.

Vorrei precisare quindi che mentre i tempi di lievitazione sono legati alla quantità di lievito aggiunto (che sia quello di birra o quello madre cambiano le quantità più che i tempi) e comunque si parla di poche ore, i tempi di maturazione variano molto in base al tipo di farina (o del mix di farine) usato e della loro “forza” che in uso professionale viene indicata con il “W” mentre in uso commerciale si fa riferimento al valore delle proteine.

Prima degli anni ’60 (ovvero prima dell’intervento dell’università di Agraria di Padova) le farine avevano poca forza (erano deboli) quindi con poco glutine ed in genere più sane. I nostri genitori o nonni potranno confermare come, specie il pane, si facesse una sola volta alla settimana, in filoni di circa 1Kg, cotto su forni a legna e durava, quindi era usabile, anche per tutta la settimana; oggi invece il pane che si acquista al forno (in realtà al punto vendita) già il giorno seguente è immangiabile, secco.

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Una buona farina, specialmente se da grani antichi, oppure semi integrale (quindi tipo1-tipo2) ha la maglia glutinica debole e la sua formazione viene in parte ostacolata dai residui di crusca e germe del grano. Qui esce il vero “problema” delle farine odierne e dei tempi di lievitazione, sbandierati, pari a tantissime ore, superiori alle 24 ore: il glutine.

Il glutine è una sostanza tenace formata da proteine insolubili, piuttosto collosa ed elastica, di colore grigio e dal sapore insipido. A livello chimico, il complesso peptidico che dà origine al glutine è formato da due classi proteiche principali.

La prima è la glutenina, molto stabile, che ha la proprietà di conferire resistenza al glutine. È predominante nel grano duro, motivo per cui il cereale tiene meglio la cottura e viene impiegato per la produzione di pasta.

La seconda è la gliadina, morbida e collosa, che invece aggiunge una discreta elasticità. È maggiore nel grano tenero, che non a caso si addice più a pane, pizza e prodotti lievitati. Secondo gli esperti è anche la principale responsabile dei disturbi legati alle intolleranze al glutine.

Insieme compongono l’80% del composto, completato da albumine (9%) e Globuline (6%).

La proteina del glutine ha un ruolo molto importante nella panificazione perché ha la capacità di trattenere i gas sprigionati dalla fermentazione dell’impasto e permettere alla massa di gonfiarsi. Senza glutine non si potrebbero lavorare farina e acqua né ottenere pane (o pizza) ben lievitato.

Il glutine è contenuto nell’endosperma della cariosside del chicco, pertanto si conserva anche dopo la trasformazione del cereale in farina. La legge n. 580 del 1967 ha stabilito valori minimi (ma non massimi) di glutine secco per poter classificare gli sfarinati. In particolare:

  • la farina doppio zero deve contenere almeno il 7% di glutine;
  • la farina di tipo 0 almeno 9%;
  • le farine di tipo 1, 2 e integrale il 10%;
  • le farine di forza hanno percentuali di glutine fino al 13-14%.

Pochi sanno che il complesso proteico si può estrarre da una quantità nota di farina separandolo dall’amido mediante lavaggio con acqua, a mano o con appositi apparecchi.

Rispetto al passato, il rapporto tra glutine e farina è profondamente cambiato. Le farine moderne infatti contengono molto più glutine e questo dipende da due fattori principali.

Il primo è la varietà di grano utilizzata, che dagli anni Sessanta è radicalmente cambiato per adattarsi meglio alle esigenze di lavorazione (alla faccia degli OGM).

Le buone e vecchie farine di grani antichi, più sane e digeribili, sono ormai delle rarità nel mercato dell’alimentazione.

Il secondo è la tecnica di macinazione. La molitura a rulli permette di raffinare maggiormente le farine, privandole di tutte le parti nobili fuorché dell’endosperma, ricco di elastico e resistente glutine perfetto per prodotti industriali facili e veloci da produrre.

Si avete capito bene… il glutine si può estrarre e aggiungere alla nostra farina o mix aumentandone il W quindi la forza e di conseguenza i tempi di maturazione.

Con il termine generico di maturazione dell’impasto si intende la somma di tre processi enzimatici:
1.    L’amilolisi,
2.    La proteolisi
3.    La lipolisi.

L’amilolisi è la trasformazione dell’amido della farina che è un polisaccaride formato da una catena lunghissima di molecole legate una all’altra di glucosio, in zuccheri più semplici questa operazione viene catalizzata per la presenza di due enzimi; le alfa amilasi e le beta amilasi.

·    Le alfa amilasi attaccano l’intero granulo di amido dall’interno letteralmente spaccandolo in pezzi più piccoli che sono ancora polisaccaridi, si chiamano destrine e sono solubili in acqua.
·    Le beta amilasi attaccano i granuli di amido e le destrine alla superficie e ne distaccano delle molecole di un disaccaride: il maltosio che è costituito dalla unione di due molecole di glucosio.

L’amilolisi è quindi utile nell’impasto in quanto fornisce ai miceti e batteri presenti il substrato necessario al loro metabolismo fermentativo.

Se, però, la presenza di alfa amilasi è eccessiva, o è molto attiva, si ha una notevole e veloce produzione di destrine che, essendo solubili, vanno ad accrescere la fase liquida e quindi rammolliscono e rendono umido l’impasto.

La proteolisi è quel processo per il quale le proteine del glutine sono scisse nei peptidi componenti e poi i peptidi sono scissi negli aminoacidi componenti per effetto dell’enzima proteasi.

L’effetto della proteolisi sul glutine è quello di rendere l’impasto più estensibile e meno elastico.

La lipolisi è quel processo per il quale i grassi contenuti nell’impasto vengono scissi in glicerolo e acidi grassi a cura dell’enzima lipasi e successivamente gli acidi grassi vengono ossidati a perossidi a cura dell’enzima lipossigenasi.

La lipolisi ha un effetto positivo sull’impasto perché i perossidi contribuiscono a rinforzare il glutine.
Questi tre processi contribuiscono a migliorare la digeribilità del prodotto finito.
La maturazione parte immediatamente alla miscelazione dell’acqua con la farina, entrano in azione gli enzimi sopra citati, non è legata all’attività della flora batterica e micetica, è indipendente quindi dalla lievitazione operata da lieviti e batteri.

La maturazione come ho scritto altre volte intesa come riduzione dell’amido in zuccheri semplici, proteine in aminoacidi non è legata affatto in modo diretto al W della farina è legata invece alla complessità di legami tra le glutenine, quindi alla qualità del glutine
La scissione di molecole complesse in molecole semplici ha più o meno la stessa velocità per tutte le farine, le tabelle che ritroviamo in rete sono errate, lo capite anche voi che non è possibile che la differenza in pochi punti percentuali dei componenti della farina faccia aumentare drasticamente il tempo di maturazione di un impasto.
Io credo che spesso invece si intende la maturazione come il processo che mi porta un impasto ad essere facilmente lavorabile quindi più estensibile e più plastico, allora è un’altra cosa perché ci sono farine che possono arrivare anche alle 48 ore di frigo per essere facilmente lavorabili.

Riporto in copia e incolla dalla rete alcune tabelle di tempi di maturazione:
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“Il tempo di maturazione dipende, innanzitutto, dalla qualità della farina. Per le farine comuni (W = 200) è di circa 3-4 ore (quasi pari al tempo di lievitazione). Le farine poco rinforzate richiedono un tempo di maturazione di 4-8 ore (i tempi di maturazione e lievitazione iniziano a divergere). Le farine rinforzate (W = 250-300) hanno un tempo di maturazione di 8-12 ore. Le farine forti (W = 300-400) dalle 12 alle 24 ore. Questo se l’impasto si lascia maturare-lievitare a temperatura ambiente.”
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Farina con W = 160 maturazione tipica in 2 ore
Farina con W = 180 maturazione tipica in 3 ore
Farina con W = 210 maturazione tipica in 4 ore
Farina con W = 240 maturazione tipica in 6 ore
Farina con W = 260 maturazione tipica in 9 ore
Farina con W = 280 maturazione tipica in 12 ore
Farina con W = 300 maturazione tipica in 15 ore
Farina con W = 320 maturazione tipica in 24 ore
Farina con W = 380 maturazione tipica in 48 ore
Farina con W = 400 maturazione tipica in 72 ore.
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Il concetto di maturazione è un po’ una “nebulosa”, in quanto non misurabile con nessuna strumentazione, se non eseguire un’analisi chimica approfondita a diversi stadi della maturazione ,cosa che non è mai stata eseguita in modo completo, se non in parte in alcuni studi, quindi risulta anche difficile quantificare le tempistiche di questo processo, se non affermare come fanno alcuni autori che è quantificabile in 24 ore circa.

Ora se prendiamo un esempio :
·    una farina con 180 di W
·    ed una con 400 di W

Qual’è la differenza in termini chimici tra queste due ?
Una avrà 10-11% di proteine, l’altra avrà 15-16% di proteine, la differenza è un 5% di proteine in più, vi sembra che regga una tabella come quella sopra, dove dice che una farina con 180 di W ha 4 ore di maturazione e una con 400 di W abbia 72 ore di maturazione? Ci saranno delle leggere differenze ma non in quel modo lì, non può essere che per rendere un 5% di proteine in aminoacidi ci voglia 68 ore, vi sembra?

La cinetica di idrolisi e di conseguenza della “maturazione”la giocano due enzimi la proteasi in forma attiva e la proteasi in forma passiva che agiscono proprio sulle glutenine.
Appena si forma l’impasto la proteasi in forma attiva agisce attaccando le proteine in particolare rompendo i legami disolfurici e questa azione è condizionata sia dalla temperatura che dalla idratazione dell’impasto.
La proteasi in forma passiva non è in grado di rompere questi legami, deve prima essere trasformata in proteasi in forma attiva .
Ebbene ci sono sostanze che sono in grado di agire su questo meccanismo e si dividono in due gruppi :
1.    Inibitori
2.    Attivatori
Ebbene l’acido ascorbico(l’acido deidroascorbico) oltre ad ossidare i gruppi tiolici a gruppi disolfurici agisce da inibitore sulle proteasi quindi in sostanza trasforma le attive in passive.
Invece l’effetto opposto lo fanno l’acido tiottico, la cisteina e il glutatione, quindi sono attivatori e attivano le proteasi in forma passiva trasformandole in forma attiva.
Quindi le farine molto forti con P/L abbastanza alti hanno due particolarità:

1.    nel reticolo proteico che si forma da queste farine il rapporto gliadine/glutenine è nettamente spostato verso le glutenine che danno tenacità e forza all’impasto

2.    hanno parecchie proteasi in forma passiva, quindi parecchi legami disolfurici

La conseguenza è che hanno una tempistica di “maturazione” ( di idrolisi delle proteine) diversa, più lunga rispetto ad altre farine che hanno meno proteine e P/L più bassi.
Ecco perché si dice che la maturazione di una farina “forte” ha dei tempi più lunghi rispetto alle farine “deboli”.
Questo meccanismo che ho appena accennato non giustifica però quelle differenze di tempo che accennavo prima, sono differenze sicuramente più contenute, si può tranquillamente affermare che una discreta maturazione si ottiene per tutte le farine con tempistiche che variano tra le 16-24 ore .
Da considerare poi che le altre reazioni, cioè l’idrolisi dell’amido e l’idrolisi dei grassi avvengono nella stessa maniera in tutte le farine, deboli o forti che siano.
La domanda che mi viene rivolta spesso è la maturazione deve arrivare alla trasformazione del 100% delle proteine, degli amidi e dei grassi?
No assolutamente altrimenti il reticolo proteico non riesce più a sopperire al suo compito che è quello di trattenere i gas .
Come si può quantificare questa trasformazione, a che percentuale deve arrivare ?
La risposta è abbastanza difficile, in genere si parla di un 60% di trasformazione di molecole complesse in molecole più semplici.
Il reticolo proteico, che è quello che più interessa in queste trasformazioni, deve diventare più estensibile, la distruzione dei legami disolfuro tramite le protesi attive è proprio il meccanismo che porta ad eliminare l’elasticità dell’impasto.
Il primo step di trasformazione delle proteine è la formazione di peptidi (pezzi di proteine), il secondo è la formazione di aminoacidi, sembra da studi recenti che i peptidi rimangano attaccati al macropolimero che è il glutine, in sostanza come se fossero ancora insieme in una catena unica.

La maturazione dell’impasto è un concetto molto poco conosciuto dai pizzaioli, eppure di assoluta importanza da apprendere per diversificare l’offerta di pizze più leggere, buone, croccanti e assolutamente digeribili rispetto ad altre, sviluppate con sistemi tradizionali di lievitazione brevissima e un po’ retrò, con risultati assolutamente deludenti in termini di qualità.
E’ infatti il momento di sfatare un detto ormai “comune” che recita così: “oggi ho mangiato la pizza e come al solito ho avuto sete e una sensazione di gonfiore”.
Non è assolutamente vero!!! Una buona pizza per essere tale non deve fare sete e non deve essere indigesta (non deve dare quel senso di gonfiore allo stomaco).
Il segreto?
La bravura del pizzaiolo nello sviluppo e produzione dell’impasto.
Perché la bontà della pizza si misura sicuramente con le seguenti percentuali: 60% buona pasta, 20% prodotti di farcitura di 1° qualità, 10% stesura della pizza, 10%cottura.
Da ciò si può capire come la cosa più importante e la corretta realizzazione dell’impasto e da qui cerchiamo di capire perché un ottimo impasto per essere tale deve essere un impasto “maturato”!
La tecnologia degli impasti ci spiega meglio tale processo con la “Reazione di Maillard”.
In sintesi viene affermato che negli impasti dei prodotti da forno (fra i quali c’è la pizza), maggiore è il tempo che si aspetta per la cottura, maggiore sarà al suo interno la presenza di aminoacidi (che sono la parte più piccola delle proteine)e glucosio (parte più piccola di zucchero complesso o amido).
La presenza massiccia di questi due elementi significa che, gli enzimi che scompongono le proteine (il processi si chiama “Proteasi”) e gli enzimi che scompongono lo zucchero complesso (amilasi) per produrre questo risultato hanno avuto molte ore di lavoro a loro disposizione.
Infatti per una buona “Maturazione” dell’impasto occorrono minimo 24/36 ore a lenta lievitazione (ideale in frigo a 2/4 gradi).

Cosa dice la Reazione di Maillard?
Essa dice che con un impasto ricco di aminoacidi e zuccheri semplici messo in cottura ad alta temperatura (quale è quella della pizza) per merito di una combinazione tra questi elementi, il prodotto ottenuto è più leggero, più digeribile e di profumo intenso. In una parola: fantastico!!!
Quando noi mangiamo una pizza con un impasto maturato a lungo (da 36 a 120 ore) già prima di essere cotto come pizza è come se il nostro stomaco ha ricevuto una pasta per pizza parzialmente scomposta e semplificata nei suoi elementi dai propri enzimi.
Lo stomaco ora ci metterà meno tempo a digerire quella pizza.
Lo stomaco infatti lavora fino a quando non finisce di scomporre tutti gli elementi (trasformandoli cioè da complessi in semplici).
Quindi :
inizio digestione = inizio scomposizione elementi complessi
fine digestione = trasformazione elementi complessi in semplici.
Pensate che all’interno della pasta di pizza ci sono più di trecento processi che si attivano dando origine all’inizio della “Maturazione”.
Uno di questi è la lievitazione ed è il più veloce di tutti gli altri.
Appare evidente che solo la lievitazione è la più veloce delle altre trasformazioni.
La domanda quindi è: come faccio a controllare la lievitazione e a farla coincidere con i tempi degli altri processi?
Semplice! Attraverso la temperatura.
Mettendo l’impasto a maturare a bassa temperatura (da 2 a 4 gradi circa), rallentiamo la lievitazione consentendo alla pasta di viaggiare alla stessa velocità delle altre trasformazioni.

Per avere una pizza più leggera, digeribile e gustosa, dobbiamo trattarla come la carne; solo che il procedimento della carne si chiama “Frollatura” mentre quello della pasta della pizza si chiama “Maturazione”.
Cioè dobbiamo metterla in frigo per qualche giorno a temperatura fra i 2 e i 4 gradi.
Ora: sempre collegandomi a quanto detto all’inizio e cioè che bisogna sfatare il detto che una pizza è sempre pesante ed indigesta, basti pensare che proprio da un detto popolare meridionale quando si vuole intendere di una persona che è pesante gli si dice: “che pizza”!!! Quindi la pizza non è mai stata digeribile e leggera, ma lo può essere grazie ai moderni metodi e alle moderne attrezzature.
Infatti 20/25 anni fa non c’era la possibilità di disporre di frigoriferi professionali o di celle frigorifere a costi d’acquisto bassi come al giorno d’oggi, quindi poteva esserci la scusante.
Ora non più! Fare una pizza altamente digeribile si può! Basta volerlo.Fondamentalmente comunque i pizzaioli napoletani dell’antichità già sapevano applicare la maturazione senza saperlo.
Non usavano il lievito (in quanto non lo conoscevano) ma sapevano già fare la pasta la sera prima utilizzando la pasta madre (quella avanzata e già maturata) in aggiunta alla nuova pasta.
Concludo in definitiva dicendo che una buona pizza non deve essere fatta necessariamente con una pasta fatta maturare per 100 e più ore, che la riuscita di una buona pizza sufficientemente maturata dipende anche dal tipo di farina usata.

Mentre con lievitazione si intende l’aumento di volume dell’impasto provocato dall’azione fermentativa del lievito che produce anidride carbonica e che rimane intrappolata nella struttura del glutine, la maturazione è un insieme di processi che vanno nella direzione inversa di quello che succede durante l’impastamento, ossia le strutture più complesse, proteine, amidi e grassi, vengono scomposti progressivamente in elementi più semplici.

È fondamentale capire che i processi di lievitazione e maturazione richiedono tempi diversi, la bravura del pizzaiolo sta proprio nel saper infornare la pizza nel momento in cui lievitazione e maturazione sono ottimali. Facile a dirsi, ma non a farsi, visto che le farine hanno tempi di maturazione anche di 72 ore, a seconda della forza, mentre la lievitazione ha tempi molto più brevi.

Per far coincidere il momento della lievitazione ideale con quello della maturazione ideale, solitamente bisogna rallentare il processo di lievitazione tenendo l’impasto a basse temperature, che inibiscono l’azione dei lieviti. Tenendo quindi l’impasto ad una temperatura tra i 2 e 6 gradi (temperatura raggiunta dai normali frigoriferi domestici), la lievitazione si fermerà, mentre il processo di maturazione proseguirà.

Dopo un numero di ore che dipende dalla forza della farina, si farà ripartire il processo di lievitazione riportando l’impasto a temperatura ambiente, e si potrà quindi infornare la pizza quando sia il processo di maturazione che quello di lievitazione saranno completi. Il processo di maturazione è fondamentale nella preparazione di una buona pizza, in quanto aiuta a produrre gli aromi e il colore tipici del pane appena sfornato, favorisce la lievitazione e rende la pizza più digeribile. Proviamo a spiegare punto per punto.

1. Gli zuccheri semplici e gli amminoacidi, combinandosi ad alte temperature, formano dei composti che donano al prodotto finale il colore e l’aroma tipici del pane appena sfornato (la cosiddetta Reazione di Maillard). Ed è proprio durante la maturazione che le strutture più complesse vengono scomposte progressivamente in elementi più semplici. Questo vuol dire che, con una buona maturazione, una pizza o un qualsiasi altro prodotto da forno svilupperà aromi e colore molto più intensi.

2. Il lievito è un fungo che converte gli zuccheri in anidride carbonica, che rimanendo intrappolata nella struttura del glutine provoca l’aumento di volume dell’impasto. Gli zuccheri semplici, risultato del processo di maturazione, vengono convertiti più facilmente in anidride carbonica. Un prodotto che ha subito un corretto processo di maturazione avrà quindi una lievitazione migliore e necessiterà di una minore quantità di lievito.

3. Come già detto, durante la maturazione gli zuccheri complessi e le proteine vengono scomposti in zuccheri semplici ed amminoacidi. Questo vuol dire che il nostro stomaco riceverà una pizza parzialmente scomposta e semplificata nei suoi elementi dai propri enzimi e la digestione sarà quindi molto più breve.

Ci si chiederà ora: la pizza napoletana tradizionale, che non prevede la maturazione in frigo, è quindi una pizza poco digeribile? Niente affatto. I pizzaioli napoletani della fine dell’Ottocento, naturalmente non conoscevano il frigorifero e con ogni probabilità non avevano mai sentito parlare di maturazione. Impastavano la pizza con una farina con forza piuttosto bassa, mescolandola con pasta madre. Questo procedimento dava un impasto con pochissimo lievito, e quindi a lievitazione molto lunga, che finiva per coincidere con il tempo di maturazione abbastanza corto della farina utilizzata.

Le farine integrali, semi-integrali e quelle macinate a pietra, hanno delle proprietà nutrizionali formidabili e un sapore autentico. Sono ideali per la pasta all’uovo o la frolla. Qualche difficoltà in più si ha quando si vuole preparare un lievitato. Infatti le caratteristiche che rendono le nostre farine preziose e salutari, come il poco glutine e i residui di crusca e germe di grano, rendono la lievitazione un’operazione difficile. Ma non impossibile.

La maglia glutinica è debole e la sua formazione viene in parte ostacolata dai residui di crusca e germe del grano. Ma possiamo creare un impasto da far lievitare senza dover tagliare la farina con un’altra a più alto contenuto di glutine oppure aggiungere glutine secco? Certo! Ecco 3 trucchi che possono fare al caso vostro.

1.Lievitazione meccanica

La flora batterica che rende possibile la lievitazione, non fa altro che creare aria all’interno dell’impasto. La maglia glutinica che si sviluppa mescolando acqua e farina la intrappola, dando vita ad una massa più soffice. Con una farina povera di glutine si possono scegliere due vie. O una lievitazione controllata molto lenta, o una lievitazione molto veloce. Impastare con un’impastatrice vi consente di incorporare molta aria all’interno dell’impasto, alleggerendo il compito del lievito. Dunque un impasto meccanico che va dai 6 agli 8 minuti vi consente, con le giuste dosi di lievito (più elevate del normale), di risparmiare tempo ed avere un risultato migliore. Il lievito avrà modo di fare la sua funzione ma non avrà il tempo di sfuggire alla “trappola” del glutine. Basta attenzione, metodo e un po’ di applcazione e il risultato positivo è garantito.

2.Succo di limone

Le farine integrali e quelle macinate a pietra sono classificate come farine deboli. Questo significa che sono ricche di proteine nobili, ma povere di glutenina, la proteina che consente la formazione della maglia glutinica e dunque la lievitazione di un impasto. Ma l’acido ascorbico contenuto nel succo del limone, ha la proprietà di aumentare la forza della farina, irrobustendo la maglia glutinica. Dunque per migliorare la lievitazione del vostro impasto aggiungete 60 gr di succo di limone fresco su un kilo di farina, diluendolo con l’acqua dell’impasto. Un rimedio semplice che migliorerà il vostro lievitato.

3.Farina di ceci

Aggiungere una piccola parte di farina di ceci o di altri legumi, può aiutarvi a migliorare il vostro impasto. Con soli 10 gr per kilo di farina, la vostra lievitazione ne trarrà giovamento. In che modo? I legumi contengono molte più proteine rispetto al grano e queste hanno caratteristiche che ben si sposano con il nostro scopo. Infatti proprio quelle proteine daranno all’impasto maggiore stabilità e rafforzeranno la maglia glutinica nel suo sviluppo. Anche questo è un trucco semplice e economico, che se usato in maniera corretta vi porterà a ottimi risultati.

Quando ho fatto il primo corso per “pinsa romana” mi era stato detto che i tempi di maturazione ottimale erano di 72 ore cui seguiva la lievitazione (+6 ore circa) e facendo testare da un laboratorio indipendente il mix di farine apposito, scoprii che oltre ad essere composto da oltre il 90% di farina “manitoba” quindi Canadese (dove il glifosato è permesso) il W misurato sfiorava il valore di 500… non esiste in commercio un grano tenero con quella forza e neppure l’aggiunta di pasta madre, farina di riso e di soia presenti (con quantità che si aggirano sul 2-4% del totale) potevano permettere di ottenere simili valori. Una sola risposta: nel mix vi è glutine secco aggiunto!

Essendo un salutista, ho cercato (e sono riuscito) ad ottenere un impasto simile se non uguale, usando farine semi-integrali macinate a pietra con germe vitale attivo, con un W pari a 280 con una autolisi, una maturazione di 24 ore in frigo a 4°C, una lievitazione finale di 6 ore.

L’autolisi è una tecnica particolare che consente di sfruttare l’autoevoluzione delle caratteristiche del glutine. Questo sistema si pratica in tre fasi: miscelazione iniziale della farina con dell’acqua; riposo dell’impasto autolitico così ottenuto; ed in fine l’impasto finale. Il preimpasto così ottenuto, subisce successivamente il riposo ( seconda fase ), che può durare da 20 minuti a 24 ore. Se il tempo di riposo è superiore alle 5-6 ore, si consiglia di aggiungere alla miscela una parte del sale e non superare il 45-50 % di acqua. Con una farina di W280 consiglio un tempo di autolisi di 3-4 ore anche se dipende dalla qualità della farina usata.

Mentre in panificazione i tempi di cottura sono relativamente bassi (sui 200°C) e tempi di cottura prolungati, con un minimo di 30 minuti, la pizza, sia in teglia che alla pala ha temperature di cottura superiori ai 300°C e tempi ridotti quindi la reazione di Maillard, dice che un impasto ricco di aminoacidi e zuccheri semplici messo in cottura ad alta temperatura (quale è quella della pizza) per merito di una combinazione tra questi elementi, il prodotto ottenuto è più leggero, più digeribile e di profumo intenso. Il trucco è fare la precottura (chiamata anche scottata) per circa 1/3 del tempo totale e far raffreddare su griglie forate. A servizio si terminerà la cottura dopo la farcitura. Questa tecnica oltre a migliorare il sapore e la croccantezza esterna, essendo un impasto molto idratato, consente all’acqua di uscire e di gonfiare correttamente la pasta. Altro beneficio è dato dal tempo di cottura finale dimezzato, cosa non da poco quando si è a servizio. Lo stoccaggio delle basi precotte inoltre permette di avere sempre il prodotto pronto in caso di bisogno; si può tenere in frigo a bassa temperatura o abbattere in negativo (surgelare) e così i tempi di stoccaggio aumentano fino a 14 giorni.

Non mi stancherò mai di ripeterlo: la chiave di volta è la consapevolezza, la comprensione del processo e della sua logica.
La disinformazione in ambito gastronomico non solo è dannosa per il portafoglio, ma in troppi casi anche per la vostra salute.

Non è assolutamente necessario procurarsi farine di forza inaudita e bloccare gli impasti in cella per ottenere un buon prodotto; il metodo varia a seconda del risultato ricercato, dei propri gusti e dell’impronta che si desidera conferire al prodotto lievitato di riferimento.

La bellezza dell’arte bianca è data dalla sincerità, dal rigore e da una tremenda passione. Panificare vuol dire innamorarsi di un esperimento, di un risultato, di un pane che cresce nel forno.
Ma vuole anche dire abbattere i luoghi comuni, le mode e i pregiudizi, tutti espedienti che rischiano di frenare la meritata crescita di questo magico mondo, ancora troppo acerbo nonostante gli anni.