Riflessioni su Ristoranti (e pizzerie) e sugli imprenditori del food

Scrivo queste note durante il periodo di paralisi del settore della ristorazione, quella voluta e studiata a tavolino da un Governo che prima detta i regolamenti, poi li rinnega condannando di fatto la chiusura degli esercizi commerciali.

Non credo che vi sia la volontà “politica” di cambiare questa situazione a breve e pertanto credo che la maggior parte delle strutture si dovranno “ripensare” abbandonando i canoni della ristorazione classica; già si vedono diversi chef anche stellati cambiare format (e perdere le loro amate stelle) pur di riuscire a sopravvivere.

Avendo negli anni, vuoi per una sfida personale, vuoi perché è li che c’era maggior offerta, prediletto le start-up ovvero le nuove aperture, mi è venuta la voglia di raccontare e sottolineare un po’ gli errori che spesso si commettono. Una specie di memorandum per coloro a cui venisse, oggi, la voglia di avviare una attività o magari di riconvertirla (che in molti casi significa ripartire da zero) il tutto con il faro di quella che è oggi la situazione e che per me non cambierà per almeno 2 anni.

Naturalmente, facendo parte del mio lavoro di consulente, in particolare nel settore lievitati-pizzeria, queste sono solo indicazioni di massima; ogni azienda (si perché un ristorante o una pizzeria sono comunque delle aziende commerciali che devono produrre utile) è e sarà sempre un caso a sè… anche se fossero a 50 metri di distanza.

Ho voluto suddividere gli argomenti come capitoli e non per ordine di importanza; lo sono tutti. Basterà aprire ogni “linguetta” e leggerne il contenuto.

Troppo spesso ci si dimentica che un ristorante è una azienda; non è un sogno (magari per l’imprenditore lo è) e deve essere condotto proprio come una qualsiasi azienda e soprattutto bisogna ricordare che si sta aprendo una azienda commerciale. Non stiamo aprendo una sorta di giocattolo che se tanto non funziona, si chiude e amen.

A parte che spesso si parla di centinaia di migliaia di euro da investire per l’avviamento di un nuovo locale, quindi non è possibile giocare, improvvisarsi, non pianificare ogni aspetto del progetto e magari affidarsi a professionisti che hanno una visione più ampia e sono molto meno coinvolti nell’operazione.

Quanto dico non è rivolto solo all’imprenditore che in solido si mette in gioco (e investe in un nuovo progetto) ma anche alle maestranze che potrebbero lavorarci (personale dipendete ma anche fornitori), perché è importante una ristrutturazione di questo settore che sempre più spesso sta scivolando verso il basso, l’improvvisazione, lo sfruttamento.

Aprire un ristorante deve essere una scelta ponderata e il business plan va fatto! e seriamente, senza barare. E’ fondamentale e non bisogna aprire il ristorante se i numeri dicono che non ci sono le caratteristiche per una riuscita; oppure si fa come spesso succede, si apre ugualmente, poi quando le cose non vanno e i debiti aumentano, non si vede prendersela con il destino, i concorrenti, il personale o la clientela: il business plan diceva che il locale non andava aperto e bisognava dargli ascolto. Si confida allora nel miracolo? Mica è dovuto.

Ci sono troppi ristoranti e pizzerie; c’è già un ristorante di fianco a te, ne apri un altro? Una cosa che mi sento dire spesso è “se vanno bene gli altri andrà bene anche il mio”; mica è vero… anzi è proprio l’opposto. Il bacino potenziale di una determinata zona è un numero finito; mettiamo che in quella piazza dove si vuol aprire passano 100.000 persone ogni anno, non è che se apriamo ne passeranno di più; semplicemente si divideranno e non proporzionalmente, il numero delle persone per i locali esistenti; se da 2 ristoranti se ne aprono altri 2, sulla carta ogni ristorante potrebbe avere 1/4 della clientela ma non è così. I locali più affermati, quelli che esistono da tempo, quelli con una reputazione consolidata avranno sempre il maggior numero di clienti (nuovi e affezionati). Oltretutto se si apre vicino un concorrente, non pensiamo che questi metta in atto tutte le strategie per “difendersi” e non perdere clientela?

Veniamo al personale: di cucina, pizzeria, sala e bar; se si riceve una offerta da una nuova azienda che sta aprendo bisogna mettere in conto diverse cose, tra cui la stress (si perché specie nel primo periodo si avranno notevoli variazioni e aggiustamenti anche repentini della struttura), le “paturnie” della proprietà che potrà chiederti tutto e il contrario di tutto, i turni massacranti con molte ore in più rispetto quelle indicate in contratto (o con mansioni differenti), ma anche la sicurezza economica di una nuova azienda (si perché spesso l’imprenditore investe tutto il capitale nella ristrutturazione confidando che pagherà i dipendenti e fornitori con gli incassi). Ma l’azienda specie nel primo anno, avrà incassi a sufficienza? Perché fatto salvo il primo mese, la novità del momento, poi la parabola sarà discendente e si lavorerà davvero solo nei fine settimana e questo di solito nel primo anno; quindi o l’imprenditore è stato accorto prevedendo una scorta economica per pagare le spese fisse oppure si avranno due possibilità: o chi avvia una nuova attività è disposto ad usare il patrimonio personale per far fronte alle uscite oppure dopo qualche mese getterà la spugna cessando l’attività. E’ normale in molti ristoranti nuovi vedere un turnover di dipendenti nel primo anno, a volte anche più di uno (certo se non paghi, stressi la vita e fai lavorare male i tuoi dipendenti, questi mica sono tutti masochisti…)

Per i fornitori è la stesa cosa; dato che nessuno specie se è da un po’ nel settore paga anticipato, consegnare merce magari deperibile o costosa con pagamento a 90 o 120 giorni è un rischio verso una attività che apre, che va ben calcolato e ponderato. Perché in quel periodo l’imprenditore avrà già usato la merce (quindi non si può ritirare) e nel contempo rischia di non avere liquidità per saldare le fatture.

Per concludere, se dal business plan non si evince che in cassa vi sono ancora alcune migliaia di euro a ristorante avviato, non bisogna fare conto sugli incassi… meglio non aprire. L’incasso se ci sarà sarà meglio, ma non bisogna vivere con l’incasso: si fallirà prima di iniziare.

Il ristorante “deve” tornare ad essere una azienda commerciale. Quali aspetti dobbiamo tenere in evidenza: innanzitutto va stilato un ottimo e veritiero business plan e in questo dobbiamo considerare tutti dipendenti. Se la risposta classica è “ma allora se è così neppure lo apro”, è quella la vera soluzione; non aprirlo.

Se si parte dal presupposto che per aprire un ristorante faccio lavorare dei dipendenti 14 ore facendogliene pagare solo 6 o che non assumo (pago a vaucher, in nero o a chiamata), questa nel caso dovrebbe essere l’eccezione per un surplus di lavoro eccessivo un fine settimana, non la regola, si sta falsando il business plan, si sta barando solo per soddisfare un sogno che nasce però minato alla base e porterà ad una chiusura in brevissimo tempo.

Se nella zona dove si vuole aprire c’è troppa concorrenza e non si hanno le capacità e risorse economiche per sfidare chi è già sul campo da tempo, il busines plan (se si è onesti) dirà che l’azienda in quel punto non si potrà aprire perché non avrà le basi per sostenersi. Si vuole spendere magari 300.000 euro e l’anno successivo chiudere?

I principi economici sono quelli di una qualsiasi azienda, sono quelli economici; non si può mentire a se stessi solo per soddisfare una voglia, un desiderio, una favola. Non è perché siamo innamorati del nostro sogno ci dobbiamo raccontare balle… ma questo, purtroppo, è quello che vedo sempre più spesso, magari di personaggi che prima nella vita, facevano ben altro, come serramentisti, barbieri, profumieri, insegnanti o geometri… nulla a che fare e senza alcuna esperienza nel mondo della ristorazione. Ci saranno dei costi, abbiamo un affitto, delle utenze, dipendenti, ecc. Non si può acquistare un forno sottodimensionato perché consuma meno oppure rinunciare allo scaldapiatti per lo stesso motivo. Lo chef consiglierà le attrezzature necessarie e in base a quelle verrà fatto il calcolo (in eccesso) di quanta energia elettrica necessita l’azienda (senza stare sempre al limite perché far scattare il contatore significa fermare l’attività).

Se i costi fissi e le attrezzature necessarie vanno oltre quelle che sono le proprie possibilità, meglio cambiare la tipologia ristorativa che non aprire affatto; penso ad una pizzeria con forni elettrici… consumano, e molto; 14-16KWh minimo e quelli sono costi fissi (i forni restano accesi per molte ore e necessitano di almeno 1 ora per arrivare a temperatura); non parliamo poi di una cucina completa elettrica in zone montane dove non arriva il gas: friggitrice, griglia, forno trivalente, abbattitore, bollitore acqua, i 4-6 fuochi che saranno a piastre elettriche o induzione, oltre ai frigo, congelatori, ecc… Parliamo di contratti altre i 30KWh ma facilmente si possono raggiungere i 50KWh. E tutto questo ha dei costi che se non si possono gestire, meglio cambiare il tiro e creare una paninoteca, una piadineria.

Se siamo ancora in fase progettuale si possono fare test comparativi cambiando la zona (quindi la concorrenza e relativi costi di affitto), oppure il menu e non pensare ad un ristorante come una azienda porta a fare dei danni di tipo economico che qualcuno poi dovrà comunque ripianare. Ad esempio, quanti dipendenti necessitano (o si hanno a libro paga)? Secondo, a quanto ammonta il loro costo? Se mi viene risposto che il centro di costo maggiore è l’affitto, significa che non si pagano (o si sottopagano con i soliti escamotage) i dipendenti perché quello è sempre e comunque il maggior costo in una attività. A meno che no si apra un ristorante a conduzione familiare, ma quello non sarebbe più una vera azienda.

Se invece, e mi rivolgo ai dipendenti, cambiamo punto di vista, ci si rende conto che si sta lavorando in una azienda? Far tornare ad essere una impresa un ristorante, coinvolge non solo il titolare ma tutte le maestranze. Tu, dipendente, hai il “diritto” ad avere un certo compenso, lo devi pretendere… anche in base alla tua professionalità, ma lo devi pretendere anche se fosse il tuo primo lavoro. Cosi non solo aiuti te stesso, ma anche la categoria e l’economia globale. Altrimenti sarai sfruttato, ogni giorno di più…

Aspetti economici: ciascuno punta alla migliore qualità; si vabbé… un frigo Zanussi a colonna supera i 2500 euro; alla Metro li tirano sulla schiena ad 800. Avranno la stessa qualità? Certo che no, ma bisogna fare il passo non più lungo della gamba e partire; poi se ci saranno, con gli incassi sarà sempre possibile sostituire in corsa uno o più strumenti. Il forno, Vuoi il Rational? Sei disposto a sborsare 8.000 euro? Ci sono forni trivalenti a 6 teglie da poco più di 1.000 euro; sono uguali e cuociono allo stesso modo? certo che no, ma sempre meglio partire e lavorare che sognare e non realizzare il proprio sogno.

I costi per le materie prime: queste possono essere giornaliere o settimanali, il tuo executive chef potrà darti un valore approssimativo, ma realistico, di quale sarà il costo settimanale della spesa necessario per il tuo menu… ad esempio, fati il risotto agli scampi? Costano, quelli di prima scelta, circa 120 euro al Kg. Se fai il risotto con le mazzancolle rischi di risparmiare molto… al massimo costano 1/3 degli scampi, anche meno.

Il considerare il ristorante una azienda fa si che lo chef attui tutta una serie di strategie per “economizzare i suoi centri di costo” un po’ come farebbe l’ufficio acquisti di qualsiasi azienda commerciale. Si possono o meglio calcolare i food cost di ogni piatto e selezionare i vari fornitori in base non solo al prezzo ma questo rapportato alla qualità. Certo ho visto dei prosciutti offerti a 7 euro/Kg (provenienti dall’Est) salatissimi e di scarsa qualità, imparagonabili ad un Parma o un San Daniele. L’imprenditore insegue il suo sogno e gestisce i fornitori allegramente, o per amicizia.

Una cosa che viene poco considerata, in una struttura già avviata, è il cambio di fornitore o di prodotto per avere magari uno sconto di 2 euro… minimo si perderanno giorni a ribilanciare il sapore di un piatto. Tempo e denaro persi per un risparmio infimo. Lo vedo in particolare con le latte del pomodoro… trovare quello giusto, poco acido, che ben si sposa con la nostra ricetta non è facile e durante l’anno neppure ci potrà venire la continuità a causa dell’invecchiamento naturale della materia prima; figuriamoci stravolgere il prodotto stesso. Metto in discussione la qualità delle materie prime verso il cliente. Si crede che il costo maggiore siano le materie prime quando queste non superano quasi mai il 30% del totale; i veri costi sono altrove, e lo ho già detto sopra.

Non avere preventivamente un conto economico, porta spessissimo a non fare marketing… già, questo sconosciuto o per chi lo conosce visto come una spesa non necessaria di cui si può fare a meno. Perché ci devo spendere li? Ma dal marketing arrivano i clienti; pensiamo davvero ancora oggi che i clienti arrivino con il passaparola? Con quello avremo 3-5 clienti al giorno; e poi? Si vive con quei 5 clienti a giorno? certo che no, per essere sostenibile un ristorante deve avere clienti 10 volte tanto ogni giorno e quel quantitativo non lo porta il passaparola. Sappiatelo. E’ una cosa normale farsi pubblicità in qualsiasi settore economico nazionale (è un investimento, non una spesa); solo nella ristorazione è vista come una spesa superflua e che la clientela arrivi con il passaparola perché lo chef cucina bene o il rapporto qualità/prezzo sia giusto. Il fatto che lo chef cucini bene è, e deve essere, lo standard, è dovuto, è la base. Però poi serve il resto.

Non vedere il ristorante come una azienda porta certamente a danni economici notevoli; porta al fallimento, alla chiusura, spesso e volentieri, perché non siamo stati in grado di prevedere e preoccuparci che un certo mese dell’anno dovremo pagare le tasse. Molti commercialisti restano basiti dal fatto che molti ristoratori si stupiscono che “devono” pagare le tasse; quando sentono le cifre che devono pagare, quasi quasi si suicidavano…  Ma le tasse sono prevedibili e qualunque commercialista, anche il più scalcinato, su base aziendale in base al fatturato saprà dire con buona approssimazione, quale sarà l’importo da pagare. E bisogna prevederlo per tempo, accantonando l’importo necessario, non evitando o tardando di pagare fornitori e dipendenti per far fronte ad una spesa improvvisa (che poi non ha nulla di improvvisato ma era ben prevedibile). Lo Stato “ruba” certo, ma questo lo si sapeva ben prima di avviare la partita IVA… se si fosse chiesto al proprio commercialista di farsi fare un conto economico approssimativo, si sarebbe scoperto “prima” e non a giochi fatti, che magari si devono pagare 50.000 euro entro 10 giorni.

Per concludere: Non considerare un  ristorante come se fosse una azienda porta a danni economici notevoli e tutti i soggetti coinvolti hanno il dovere di contribuire affinché questa funzioni correttamente e produca utile. Qualunque attività nella ristorazione e nella ricettività si deve mettere in testa che solo in questo modo potrà vivere e prosperare.

Sembra una domanda sciocca, ma vale la pena soffermarsi a ragionare, prima di avviare una impresa, quale “taglio” o format si vuole dare alla propria attività ristorativa. Si perché da questo poi uscirà il menu e le materie prime (quindi la conservazione), il numero dei coperti medio (quindi la location) ma anche del personale necessario (in un ristorante non assumerei un banale portapiatti ma un cameriere formato e che conosca almeno 2 lingue).

Per fare oculatamente questa scelta, non basta confrontarsi con il solito commercialista o consulente del lavoro, ma necessita di un consulente esperto in ristorazione ed anche perché no, di un executive chef che saprà consigliare e/o simulare un menu e i relativi costi di materie prime. Non prendete assolutamente da soli questa decisione. Serve una valutazione, non una telefonata da 10 minuti… quindi mettere in conto almeno una mezza giornata di breefing.

Vediamo quale sia la formula migliore per il nuovo locale che si vuole lanciare; ricordiamoci anche se se verrà data una impronta allo stesso, poi sarà difficilissimo convertirlo in qualcosa di diverso e, oltre il tempo necessario, si dovranno sostenere ingenti somme per il marketing. Perché far marketing per una trattoria è una cosa; farlo per un ristorante, magari gourmet, è tutta un’altra cosa; per un circolo lo è ancora di più.

Iniziamo con il pensare con quanti clienti indicativamente si vuol lavorare a servizio… 10? 50? 100? Poi i prezzi; decido per una trattoria e magari si propongono dei piatti gourmet, ad esempio un primo a 14 euro, ovvero i prezzi sono quelli di un ristorante. Non stupiamoci se poi su TripAdvisor o Facebook ci ritroviamo recensioni negative perché “troppo caro”. Il cliente che decide di andare in trattoria, si aspetta di mangiare (e non conta la qualità del cibo) un primo a 4-5 euro, non a 15. Come pure se vado al ristorante non mi aspetto primi a 5 euro oppure dei piatti come hamburger e patatine. Stiamo pensando ad un menu con 3 voci dentro (2 primi, 2 secondi e 2 contorni) oppure con 50 (suddivisi in entratine, antipasti, primi, secondi di carne e pesce, contorni, dessert)? Nel primo caso, mi immagino una trattoria o un bistrot, nel secondo un ristorante. Questo incide anche sul personale; con 6 portate mi basta un cuoco ed un aiuto con funzioni anche di lavapiatti; con 50 portate ho bisogno di una brigata con un personale più qualificato.

Che tipo di marketing fa o dovrebbe fare una trattoria(o bistrot)? Sicuramente molto differente da quello di un ristorante; non parliamo al marketing di un circolo che ha implicazioni e limitazioni legali e tributarie. Il circolo aveva una serie di vantaggi, che comunque stanno scomparendo negli ultimi anni, anche se può fare lo stesso numero di coperti di un ristorante, non è “aperto al pubblico” ma solo ai soci. Il circolo è sempre dipendente da un’altra attività, ad esempio un circolo tennis, un dopolavoro ferroviario, ecc.

Come ci si organizza? Una volta che si è compreso ciò che va fatto e quale sarà la miglior tipologia di locale per noi, proviamo… si dovranno scegliere i vari consulenti, il commercialista (per l’aspetto fiscale e tributario), il consulente del lavoro (per la parte contrattuale con il personale dipendente e i collaboratori), il consulente ristorativo/executive chef e il consulente marketing (per l’aspetto promozionale/pubblicitario) che sapranno indirizzarci e metterci sui binari giusti. Ciascuno di loro darà il proprio apporto per vagliare le differenze e l’incrocio dei dati ci permetterà di scegliere al meglio la tipologia di ristorazione che andremo a proporre. Ricordo sempre che una attività di questo tipo non deve essere solo un sogno ma una azienda e che pertanto dovremo ricavare utili da tale attività.

Siamo sicuri e convinti di avviare un nuovo ristorante, il sogno di una vita? Bene, ma evitiamo queste cose (che mi sono realmente capitate):

  1. Aspettarsi che i clienti non vedano l’ora che il ristorante inauguri. Spesso i business plan sono talmente taroccati da essere ridicoli; in molti si legge che dai primi giorni si avranno 40 clienti fissi su una capienza di 40 coperti; il pieno, insomma… ma dove mai! Può succedere, ma bisogna lavorare prima, già da almeno 6 mesi prima per far si che si sia generata una aspettativa all’apertura; quindi una buona pianificazione marketing. Non illudersi che la clientela stia aspettando che vengano aperte le porte per riversarsi nel ristorante.
  2. Suddividere il budget secondo la propria passione; siccome io proprietario sono uno chef, destino l’80% del capitale per fare una stupenda cucina lasciando il restante 20% per tutto il resto. Ci si dimentica forse, però, che i clienti tornano per come si trovano in sala, per come vengono accolti, più che per come hanno mangiato (li si da per scontato la qualità del cibo). Ma non va fatto neppure l’opposto: siccome io sono un sommelier, investo 3/4 sulla sala dimenticandomi della cucina e del laboratorio. E l’amministrazione? il sistema gestionale di comande e prenotazioni? Non è che si sono spesi 15.000 euro di forno e poi un tablet da 500 euro per le comande. Ed il marketing? Non è che si scopre che dopo aver speso 200.000 euro di cucina, 150.000 euro di sala, poi 10,000 euro sul marketing ti sembrano una rapina. Ma come pensi di prendere nuovi clienti? Con il passaparola?
  3. Non far partire il ristorante con l’idea che il personale debba lavorare 14 ore al giorno. Peggio ancora se neppure tutte retribuite (o in parte con il nero). Perché un conto è se ogni tanto si possa sforare di un’ora ma di regola si lavorino le ore corrette e previste dal contratto; un altro conto è sfruttare il personale che sarà stanco, demotivato e spesso anche arrabbiato con la proprietà. Questo si riflette con la qualità del servizio, quindi con la possibile perdita della clientela. Questo è un ristorante nato male e che finirà per chiudere in poco tempo.
  4. Non contare sull’incasso dei primi mesi. I primi mesi, non si è neppure sicuri se e di quanto sarà l’incasso; a volte si potranno fare in una giornata feriale magari 8 clienti; a me è capitato anche di sabato sera in un paese di montagna. T hai contato sugli incassi fin da subito per pagare i dipendenti, perché ci facevi conto, invece questi non sono arrivati e adesso non sai come saldare gli stipendi. Se pure dovessero arrivare degli incassi, specialmente all’inizio attività, questi verranno usati per aggiustare e correggere situazioni non previste in fase progettuale. Gli imprevisti però il più delle volte sono perfettamente prevedibili… solo che non ci si pensa, a volte anche per inesperienza.
  5. Pensare di rientrare nel primo anno di attività dell’investimento. Ma quale azienda di qualsiasi tipologia può pensare di rientrare dell’investimento in meno di 5 anni… il fatto che nella ristorazione il break-even point (o punto di pareggio) è di solito a 3 anni, significa che sotto quel periodo è impossibile andare. Ma si pensa di diventare ricco in un anno e magari rivendersi il ristorante? I miracoli sono tali perché sono eventi straordinari, non la normalità. Bisogna partire dal presupposto che si sta creando una azienda, non un giocattolo ed è normale che a fronte di investimenti ci vogliano anni per rientrare dell’investimento fatto; magari dal secondo anno si inizia ad essere in attivo, ma non a rientrare dell’investimento fatto. Ma anche il marketing stesso necessita di almeno un anno per andare a regime e quindi far conoscere il locale (figuriamoci il passaparola). Molti confondono il marketing con la pubblicità; nulla di più sbagliato e questa, secondo me, è la migliore definizione possibile: Marketing: processo che, a partire da una serie di obiettivi aziendali di medio-lungo termine e attraverso una fase preliminare di diagnosi della domanda e della concorrenza, arriva ad individuare i bisogni e le esigenze degli attuali e dei potenziali clienti e a stabilire le azioni più opportune per soddisfarli, con reciproco vantaggio per i clienti e per l’impresa. Il marketing, secondo il nuovo orientamento, riguarda tutte le decisioni mediante le quali l’azienda sviluppa, comunica e rende disponibile ai clienti la propria offerta di valore. La “value proposition” può essere definita come l’insieme dei benefici che l’impresa promette di fornire ai clienti e da cui questi ultimi possano ricavare una soddisfazione (customer satisfaction) tale da giustificare il pagamento del relativo costo.
  6. Non pensare al backup del personale: Solitamente nei piccoli ristoranti e nei bistrot (ma anche in molte pizzerie) si vede un cuoco, un lavapiatti e un cameriere… Mi chiedo: ma se uno dei 3 si ammala, ha un infortunio, si deve prendere un giorno di ferie. Chi ricopre quella figura? Caro ristoratore, forse non ci hai pensato, ma sei appeso al fatto che se manca una di queste figure anche per solo un giorno, quel giorno tieni chiuso! Va calcolato che, ferie a parte, 2-3 giorni durante l’anno è sintomatico che vengano presi per queste motivazioni. Bisogna sempre pensare al backup delle figure strategiche del nostro ristorante, ovvero avere dei clone; magari delle persone disponibili che in caso di bisogno sappiano supplire alla mancanza del personale fisso (un secondo cuoco che però conosca già il menu e le lavorazioni del ristorante come pure un secondo cameriere che vi abbia già lavorato e sappia come comportarsi). Se invece il ristorante è maggiormente strutturato, con più personale, si possono individuare delle figure da preparare e tenere come jolly. Un esempio può essere un aiuto cuoco che sappia fare il pizzaiolo e un barista che sappia fare il cuoco (e viceversa). In ogni caso non ci si potrà mai permettere di non avere un clone, un doppione, un sostituto, delle figure basilari nel ristorante.
  7. Credere che il nostro personale sia innamorato del nostro progetto: Il progetto, il ristorante, è dell’imprenditore che avvia una nuova azienda, non di chi ci lavora… questo molti ristoratori non riescono a capirlo, purtroppo. Lo chef potrebbe essere così fortemente legato al progetto che in qualche modo si senta un po’ coinvolto come se fosse un socio… ma non lo sarà mai. Ma il resto del personale? Il lavapiatti ad esempio, è innamorato del tuo ristorante? L’aiuto cuoco, il commis, il cameriere è innamorato del tuo ristorante? No! Ci lavorano perché tu li paghi e se non lo fai o lo fai in ritardo, alla prima occasione questi cambiano. Ognuno ha i propri innamoramenti e non certo quelli del personale sono uguali a quelli del titolare del ristorante. Magari per lusingarti te lo potrebbero anche dire… ma la realtà è un’altra. Solo tu sei innamorato del tuo progetto e puoi contare solo su te stesso. Quindi non fare l’errore per scambiare il proprio sogno con quello degli altri. Gli altri ci lavorano perché li paghi e li tratti in un certo modo. Anche il personale però deve stare attento; quando il titolare ci dice “siamo una grande famiglia” lui per “grande famiglia” intende una cosa ben diversa da quella che pensate voi… e si sott’intende uno sfruttamento velato.
  8. Illudersi di poter vivere del passaparola: Quante volte, parlando con un ristoratore, questo è davvero convinto che il passaparola porterà al successo il suo locale e che la gente farà la fila per prenotare. Per pagare le spese fisse, gli stipendi, con il solo passaparola, si dovranno almeno attendere 10 anni di avviamento, e se il ristorante è posto in un punto strategico, con un bel parcheggio di proprietà, con una proposta gastronomica particolare. Un locale “storico” visto che oramai lo conosce cani e porci, si può permettere di vivere sul passaparola, sulla nomea che si è fatta nel tempo, evitando di spendere in pubblicità… ma se si apre oggi un nuovo locale, puoi confidare sul passaparola degli amici. Ma quanti amici “fidati” cedi di avere? e quante volte al mese questi amici potranno venire a mangiare da te? E se sono amici, non avrai un occhio di riguardo verso loro facendo magari uno sconto extra? E i tuoi amici, durante la loro giornata pensi che non sapendo cosa fare di meglio si mettono a parlare e lodare il tuo ristorante facendo di fatto i PR? Il loro passaparola, quanta gente potrà portare, 20-30 persone? E cosa ci si potrà fare con 30 clienti? Ci si potrà pagare gli stipendi? Se questo è il ragionamento, la sicurezza del fallimento prima ancora di aprire è dietro l’angolo. Quindi è una illusione pensare di vivere con il passaparola; ci si potrà vivere ma dopo un congruo numero di anni, quando il ristorante sarà consolidato.
  9. Non fare un congruo periodo di collaudo e rodaggio: Si  è finito di allestire il ristorante, la cucina, la zona bar con lo spinaggio, la sala, il tecnico ha appena installato il sistema elettronico di presa comande e si pensa di aprire il giorno dopo o peggio 2 ore dopo che l’ultimo operaio ha lasciato il ristorante? E certo, mi sento rispondere, è ora di iniziare ad incassare con tutto ciò che ho speso. Quante volte ho vissuto questa situazione… purtroppo. Caro imprenditore, tu puoi prendere il miglio chef, il pizzaiolo più blasonato, il metre di sala con un curriculum da paura, il sommelier più blasonato della tua regione, ma ti aspetti che queste figure lavorino in perfetta sintonia tra loro? che ciascuno conosca a menadito il funzionamento delle attrezzature che tu (non loro) hai selezionato e scelto? Fai così e vedrai le recensioni che riceverai i primi giorni… Un mese, devono lavorare a porte chiuse; devono simulare anche con la partecipazione di clienti fittizi (ad esempio parenti e amici) la preparazione dell’intero menu, testare le attrezzature, verificare il funzionamento della presa comande, sincronizzarsi tra sala e cucina oppure tra cucina pizzeria (se esiste) e sala. Un mese in cui si lavora a porte chiuse, magari non proprio tutti i giorni, ma con regolarità, e fare dei breefing a fine giornata per migliorare qualsiasi aspetto non sia perfetto. Quante volte ho visto incompatibilità, gelosie ed anche dispetti tra camerieri… ma anche in cucina la situazione non è mai idilliaca perché i cuochi pensano, ognuno di loro, di essere il migliore e vanno in competizione invece di fare squadra. Lo chef deve iniziare a fare prove, deve testare le attrezzature; certo un forno è un forno… ma se 2 forni della stessa marca cuociono in modo differente, chi si arrischierebbe di far uscire un piatto se prima non sa bene come si comporta quel forno? L’impiattamento va provato e rifatto fino a trovare una composizione gradevole all’occhio. Ma soprattutto la squadra va collaudata; le tempistiche vanno collaudate, le basi vanno preparate e servono almeno 3-4 giorni per farlo, non si possono preparare mentre la sala si sta riempiendo. la pizzeria è poi un caso a se, serve una settimana per mettere a punto un buon impasto e cuocerlo a puntino. Gli impasti sono anche sensibili alla temperatura ed umidità… il forno, se a legna, va rodato per una settimana e “asciugato” (in termine tecnico si dice “condizionato”) prima che riesca a sfornare le prime pizze decentemente. Altra cosa che spesso ho visto sono i fornitori del beverage che arrivano il pomeriggio poco prima dell’apertura… queste sono cose che non devono mai accadere. E tutto questo va pagato… i dipendenti che iniziano a lavorare prima dell’inaugurazione del ristorante, invece, ho sempre visto che lo fanno senza essere messi in regola; chissà perché l’assunzione parte sempre il giorno dopo quello dell’inaugurazione. Ma se nei giorni precedenti qualcuno si dovesse far male? Non vi sarebbe copertura INAIL e si rischierebbero anche sanzioni; ne vale la pena?
  10. Non farsi dare la stima dei tempi da un consulente: Incontri un imprenditore per strada, ti dice “ciao, guarda io tra 3 mesi, apro il mio nuovo ristorante”… seee, ciao. Ma come mai se si ha un problema in casa e si chiama un artigiano, quello si e no dopo 3 mesi ha riparato il guasto e tu, caro ristoratore “pensi o credi” che in 3 mesi metti in piedi da zero una intera azienda. Ci si potrebbe riuscire solo se fosse un cambio di gestione dove tutte le attrezzature sono già presenti, giusto in quel caso e si avrebbe comunque fortuna… ma se si devono cambiare o rivoluzionare la cucina, la sala, o peggio ancora partire da zero, cosa che comporterà anche la stesura e rifacimento degli impianti (gas, acqua e corrente elettrica) ci vorranno dai 6 ai 9 mesi partendo da zero e 3-6 mesi per un cambio gestione; oltre naturalmente tutte le verifiche dell’ASL che non sta li a tua disposizione e magari verrà a fare il sopralluogo dopo un mese e in quella occasione apporterà delle modifiche che tu dovrai fare prima del nuovo sopralluogo, quindi richiamare le maestranze. Faccio un solo esempio: la progettazione della cucina o pizzeria (e ne ho progettate diverse): per fare un progetto realistico serve un mese e diversi incontri con la proprietà; poi si varia il progetto in base al menu scelto che nel frattempo si sta stilando (ad esempio serve la griglia? O al suo posto metto 2 friggitrici?); una volta che il progetto sarà pronto, si coinvolgono 2 o meglio 3 fornitori, che 2 settimane dopo ci fanno avere i rispettivi preventivi… certo, mica stanno aspettando solo noi; i preventivi io non li ho mai avuti prima di 10 giorni e sollecitando. Siamo ancora al preventivo e dopo averli esaminati, ci accorgiamo che manca qualcosa oppure è stata messa una 4 fuochi quando avevamo chiesto una 6; che sono stati messi 2 frigo monoporta anziché uno a doppia porta e con cestello in basso… e così si richiama il fornitore e si aspetta almeno una settimana per avere il preventivo corretto.  Finalmente dopo un mese e mezzo, anche 2, si hanno i preventivi e a quel punto ci si mette a tavolino a discutere con familiari e soci se ci sono, facendo passare una ulteriore settimana prima di decidere. Poi scatta l’ordine, ma solitamente tra l’ordine e la consegna serve almeno un mese (salvo che qualcosa il fornitore lo abbia in casa). Ma solo quando arriveranno le attrezzature, in particolare per il gas, verrà approntato o rifinito l’impianto perché ad esempio non sappiamo se il bocchettone del gas sulla cucina a 6 fuochi (120cm minimo) sarà a sinistra, al centro o a destra. In sostanza, i tempi vanno discussi con chi fa questo di mestiere, con con il commercialista o un mero consulente che non ha vissuto e non conosce le reali problematiche.

Il bacino potenziale… nella tua città quanti abitanti vi sono? e in 30 minuti di auto, quanto si allarga questo bacino (quanti paesi e quanti abitanti)? Questo è il dato di partenza; ma perché solo mezz’ora di macchina? Perché suppongo che il nostro ristorante possa interessare ed essere attrattivo per qualcuno disposto a farsi qualche Km di macchina (ad esempio dall’enroterra verso il mare oppure da un paesotto verso una grande città vicina).

Certo ci sono realtà per cui non farei neppure 5Km ed altre per cui potrei farne 200 di Km. Ma questi sono le eccezioni, non la regola per una valutazione del bacino clienti. Sulla base dell’attrattiva e del richiamo che il nostro ristorante può dare, si stabilisce il quantitativo di possibili clienti. Il bacino è il numero massimo a cui si possa aspirare (salvo zone balneari o fortemente turistiche).

Se ad esempio si decide di aprire un ristorante in una località di 10.000 abitanti, potrò contare con una buona campagna di marketing e del tempo, di acquisire una buona fetta di quegli abitanti. Viceversa, se si apre in un piccolo borgo o paese, ma confinante ad una grande città, allora potrò contare sugli abitanti di quest’ultima; aumentando la spesa marketing potrò raggiungere ulteriori potenziali clienti. E non ci si può basare sul passaparola, perché anche se un buon veicolo, difficilmente vedo o meglio ascolto persone che si incontrano e parlano di vari argomenti dire o pubblicizzare un nuovo locale. Quindi con il passaparola non ci si pagano gli stipendi, al massimo si consolida il nome del locale.

Spesso chi avvia una attività di ristorazione, dopo pochi giorni si accorge che vi sono degli sprechi, lentezza nell’uscita dei piatti, organizzazione del lavoro in cucina ma anche tra cucina e sala dove spesso si genera una sfida, uno scaricabarile (la colpa è sempre dell’altro). Si vede personale che va e viene o si sposta di continuo in cucina ma anche in sala verso la cucina dando una sensazione che la cucina non sia stata organizzata al meglio in termini strutturali.

Se parliamo di haccp, spesso viene completamente disatteso e si confida sul fatto di non ricevere visite da parte della ASL o peggio dei NAS, perché vedremmo chiuso al volo il locale 8 volte su 10.

La prima domanda da porsi quindi è: ore di lavoro disponibili? Lo stesso personale ridotto al minimo visti i costi che per più delle canoniche 8 ore giornaliere già presta servizio? E quando lo dovrebbe fare? Se noi vogliamo avere una organizzazione efficace del nostro ristorante, devono esserci ore disponibili; rilevare le temperature dei frigor, ad esempio, quando dovrebbe essere fatto? Appena arrivano iniziano a cucinare e smettono a fine servizio di solito 2 o 3 ore dopo l’orario contrattuale. E in quel lasso ti tempo dovrebbero avere anche il tempo per prendere le temperature? di aggiornare il registro degli abbattimenti effettuati? di sanificare la cucina?

Resta il fatto che l’imprenditore deve conoscere le tempistiche di ogni lavorazione/rilevazione e che questo tempo dovrà essere sottratto al normale ciclo di lavoro (quindi un cuoco non prepara, un lavapiatti non pulisce, un pizzaiolo non prepara la linea o il forno, un cameriere non prepara la sala). Tutto questo vuol dire che un soggetto, demandato avrà come compito di fare queste operazioni a discapito delle altre, ovvero serve probabilmente una persona in più.

Parlando di sanificazione, l’antibatterico dovrebbe essere passato la mattina e non solo, come spesso avviene la notte a fine servizio; deve essere una costante. Tempo medio per passare l’antibatterico sulle superfici piane della cucina almeno 30 minuti; più antibatterico per il forno, per l’abbattitore, per il microonde, ecc. il che vuole dire che il primo uomo che arriva in cucina, prima di iniziare qualsiasi altra operazione dovrà dedicarsi alla sanificazione e alla rilevazione delle temperature. Non succede mai. Perché il personale arriva in cucina e ha già 100 cose da preparare arrivando di solito a ridosso del servizio se non a servizio iniziato, mentre ancora deve essere terminata la linea di preparazione ingredienti.

Spesso vengono solamente “lavati” i ripiani… ma così facendo non solo non si eliminano i batteri, bensì peggio, i detergenti usati si sciacquano le superfici con gli stessi panni e spugne usati per distribuire i detergenti stessi. In questo caso ad un controllo dei NAS vi è la chiusura immediata del locale perché i detergenti fanno più male all’organismo dei batteri. I detergenti procurano cancro, dai batteri spesso l’organismo si difende. Per tutte queste operazioni serve tempo… un tempo che non può essere sottratto al personale di cucina già in affanno.

Si è mai visto in qualsiasi azienda commerciale che le pulizie vangano fatte dagli impiegati ad inizio e fine della giornata lavorativa? Certo che no… si assume/contrattualizza una impresa esterna che al di fuori del normale orario di lavoro si occuperà delle pulizie e sanificazione dei locali. E così deve essere fatto anche in un ristorante… perché anche quello è una azienda e va gestito come tale.

Inoltre non avere tempo porta a fare male… io ho visto certe cucine sporche perché si lascia al lavapiatti il compito di pulire e questo già stanco e sottopagato, cerca in 15 minuti di fare una pulizia sommaria e andarsene a casa. Uno dopo che si è fatto 14 ore in una cucina e si è fatto un mazzo tanto…col cavolo che impiegherà altre 2 ore per pulire come sarebbe giusto tutta la cucina. Ma  dove si è visto mai o dove è scritto che a fronte di 8 ore contrattuali (e spesso per risparmiare sui contributi se ne indicano meno) si facciano 12 o 14 ore effettive? In quale contratto è scritto? Perché solo nella ristorazione si sfrutta il personale in questo modo? Un cuoco assunto per 8 ore deve lavorare per 8 ore, massimo 9 ed è già una concessione da parte del lavoratore. Solo così si può parlare di organizzazione. Solo a fronte di una seria organizzazione, nel caso il dipendente non la attui, allora si può giustamente licenziare.

Faccio un esempio: un ristorante fa 2 servizi giornalieri: 12-15 e 19-23 (apertura al pubblico); la linea di preparazione viene effettuata 2-3 ore prima di ogni servizio; 30 minuti sono dedicati alla sistemazione e pulizia del proprio posto di lavoro. Se si sommano gli orari un cuoco inizia a lavorare alle 9,30 per smettere alle 15,30 (6 ore) e riprende alle 17 fino alle 24 (7 ore) per un totale di 13,5 ore. In qualsiasi altra azienda commerciale questi orari corrispondono a 2 dipendenti con contratto part-time di 6-7 ore. Invece nella ristorazione deve fare tutto il povero cuoco; ma è giusto? E la qualità del servizio oltre di ciò che esce è quella massima? E quanto resisterà il cuoco prima di mandare l’imprenditore a quel paese cercandosi un’altra sistemazione?

Se non si fanno le 7-8 ore l’organizzazione aziendale si va a fare benedire; tu imprenditore vuoi che tutto fili liscio a puntino facendo lavorare 15 ore al giorno i dipendenti, ma la cosa non può funzionare partendo da queste basi. Ma il problema non è solo lato imprenditore (che ci prova e spesso gli va grassa) ma anche del personale ed in particolare dello chef, che per primi sbagliano in questa cosa, perché il titolare ci dice fai, fai, fai e noi non abbiamo il coraggio di opporci, di dire questo non si può. Invece lo chef dovrebbe imporsi e dare dei limiti alla proprietà fino a dove il personale possa arrivare. Oltre quello servono risorse aggiuntive. Bisogna insistere o alla peggio l’imprenditore dovrà cercarsi un nuovo chef.

Noi cuochi non ci possiamo lamentare dei titolari se noi per primi non ci assumiamo le nostre responsabilità, ma per poterlo fare servono tempo e metodo. Altrimenti che chef siamo? saremmo solo dei cuochi, ovvero persone che cucinano ma senza responsabilità.

Tempo. Se si desidera una buona organizzazione di lavoro servono le ore necessarie (ed il personale) per poter tenere la struttura in piedi; serve il buon senso… e le risorse necessarie.

Nelle aziende “serie” ciascuno al il suo ruolo mentre nei ristoranti questo non è vero; spesso, troppo spesso ho visto personale assunto con un ruolo o mansione che nella realtà ne fa un altro. Il primo problema è la comunicazione.

Il responsabile della cucina di solito è lo chef; ogni volta che il titolare va a parlare o richiama direttamente una figura della cucina, non solo commette uno sgarbo verso il responsabile, ma agli occhi dei dipendenti ci saranno dei problemi, si toglie il ruolo allo chef, si sminuisce la sua figura e si crea un problema di figure e ruoli.

Anche in un piccolo ristorante con 5 o 6 persone, la cosa non cambia perché vi sarà sempre un capo cuoco e un responsabile di sala (il capo cameriere nel caso) e il titolare o l’amministratore nel caso di una società dovrà parlare con queste figure che poi a cascata parleranno con il personale subalterno. In una qualsiasi azienda ci sono i “capo ufficio” gli impiegati e gli operai. Difficile che l’amministratore si rivolga o richiami l’ultimo degli operai. Questo vale a doppio senso, anche dal lavapiatti al titolare; deve passare per lo chef.

Cosa significa “gestione del rapporto”: se io ho stabilito che quel signore fa il cuoco, il suo compito deve cucinare; quell’altro signore se deve fare il lavapiatti, farà quello e non l’aiuto cuoco o il magazziniere mentre se il cuoco facesse il lavapiatti, oltre pagarlo il doppio di un lavapiatti, verrebbe snaturato il suo ruolo. Banalmente se quel cuoco trova un lavoro anche a solo 10 euro in più ma andrebbe a fare il proprio di lavoro, non ci penserebbe un minuto a cambiare.

Il rapporto tra le persone che lavoro in un ristorante, deve essere rispettoso e professionale. E’ normale oggi che la cucina sia in competizione con la sala? Ma è normale se si va in una concessionaria auto, ad esempio, sentire insulti o urla tra i venditori (per noi i camerieri) e l’officina (i cuochi)?. Ci sono settori merceologici che per una parolaccia, un insulto o l’avere troppa confidenza con il cliente si viene licenziati; nella ristorazione invece tutto è permesso (o quasi).

La giustificazione di solito da parte della proprietà è “lo stress”. Se quello è il punto critico, va eliminato lo stress, non giustificato. Se il problema ad esempio è che un piatto non è pronto in due minuti, va cercata una soluzione li, non accettare le urla ed improperi da parte di un cameriere (anche lui stressato) e comunque fuori dall’orario del servizio al pubblico, facendo un breefing per capire le ragioni e le difficoltà delle parti in causa. Se tu insulti me, è normale che poi io insulto te e ti dico che non sai fare il tuo lavoro. Non va visto chi ha ragione o ha torto, ma trovare la soluzione al problema.

Ultimamente sta anche passando l’idea che nella cucina vi sia la necessità di un “controllore” che bacchetta gli operatori per farli andare più velocemente… ma mica siamo a MasterChef! Ma questo deve avvenire principalmente dall’alto, dalla proprietà. Poi le voci circolano e i dipendenti se ne andranno anche guadagnando meno, pur di vivere serenamente e quel ristoratore avrà difficoltà a reperire personale perché la voce sicuramente sarà quella di un luogo di lavoro invivibile. Quindi, preoccupiamoci di rapportarci con gli altri in modo serio, educato e professionale e devono esserci le stesse regole di una qualsiasi azienda commerciale.

Parlando di turnover: conosco pochissimi cuochi che abbiano superato i 3 anni nello stesso ristorante fino ad arrivare ad un minimo di 2-3 mesi. Brutto, no? Il turnover è un problema, ha un costo, ha dei disagi, sia per il gestore che per il personale. Per il personale è uno stress: spostarsi, traslocare, ricercare un lavoro e un appartamento, la formazione (latente), non si instaurano rapporti (anche per mancanza di tempo libero). La continuità invece ha dei vantaggi, ad esempio sulla conoscenza delle attrezzature.

Per l’imprenditore invece, è peggio di andare di notte; se non si fa qualcosa per tenersi il personale, chi ne pagherà le conseguenze è proprio lui. Se si crede, ad esempio, di pagare poco il personale tanto poi se quel dipendente va via se ne trova un altro (oggi c’è fame di lavoro in Italia), non ci si rende conto che cambiare il personale sono soldi spesi. L’idea che un cuoco sia uguale ad un altro, è una grande castroneria; si scoprirà che tutto quello che è stato messo in piedi dal vecchio cuoco verrà stravolto dal nuovo, indipendentemente se più o meno bravo; sarà il suo modo di lavorare ad imporsi. E magari l’imprenditore darà la colpa al nuovo venuto…

I costi quindi non sono solo quelli economici di liquidazione del TFR, delle ferie non godute, etc del dipendente che se ne va, ma anche quelle di adattamento della cucina su indicazioni e richiesta del nuovo cuoco. E se poi quest’ultimo ci lascia, la cosa si ripeterà ancora. Poi esiste il tempo di affiatamento con i colleghi, che non è detto avvenga (spesso il nuovo arrivato non riesce ad integrarsi) e così abbasserà subito l’entusiasmo finale e di riflesso sui piatti che escono in sala.

Ci sono anche costi nascosti, ovvero l’adattamento alle attrezzature esistenti; non è vero ad esempio che un forno è uguale ad un altro e pertanto andranno messe in conto delle lavorazioni errate con relativa distruzione del prodotto lavorato. Anche il modo di lavorare deve essere adattato alla struttura: mettiamo che venga chiesto al nuovo cuoco di realizzare una carbonara e questa viene criticata perché li, in quel ristorante il vecchio cuoco e quindi la clientela, aggiungeva poca panna… fatto osservare al cuoco, questi opporrà la giustificazione che nella carbonara non ci va la panna e che lui l’ha sempre fatta così con successo e apprezzamenti; ma nel nuovo locale i clienti sono abituali alla panna, e lui dovrà aggiungerla. Questo serve per capire come anche questi siano dei costi occulti.

Vogliamo dimenticarci dei costi di commercialista e consulente del lavoro per approntare il nuovo contratto? E della selezione, ammesso che venga fatta? Il tempo usato per le varie prove? il tempo che gli altri colleghi dovranno dare al nuovo inserito almeno per qualche giorno per agevolarne l’inserimento. Ma siamo sicuri che non esista il modo per trattenersi il vecchio dipendente? Per la clientela poi, è una discontinuità sulla qualità dei patti e questo abbassa sicuramente la fidelizzazione. Io non tornerei più volte nello stesso ristorante dove ogni volta lo stesso piatto viene preparato in modo differente.

Titolare e dipendenti dovrebbero capire che è meglio trovare dei punti di incontro, magari cedendo qualcosa, piuttosto che arroccarsi; stabilire dei ruoli e rispettarli: se abbiamo stabilito che tu sei il titolare, tu fai il titolare. Se abbiamo stabilito che io sono il cuoco, lasciami fare il cuoco. Perché questo? Perché io penso sempre di saper fare meglio di te il titolare dicendo che non sai fare niente e tu pensi sempre, senza saper cucinare, di saper fare il cuoco e metti bocca in cucina, anche se mi paghi per fare il cuoco.

Allora diamoci dei ruoli e rispettiamoci, tollerandoci. Il turnover ha un costo… negativo.

Vediamo quali sono i canali e gli strumenti che “portano” clienti usando un buon marketing; ovvero ciò che il ristorante (e il ristoratore) dovrebbero tenere a mente per ottenere nuova clientela.

  1. il “passaparola” ovvero il meno importante di tutti. Tutti dicono “io vivo di passaparola” ma non è così; se un ristoratore vivesse veramente di questo mezzo, sarebbe fallito da un bel pezzo. Il “passaparola” è importante certo, ma per consolidare la propria immagine, per far si che nella nostra cittadina ci sia una buona opinione di noi.
  2. le “locandine” anche se sembrerà strano, vetusto come mezzo, qualcosa fanno; poi certo, dipende dal contesto, dalla zona in cui siamo, ecc. però ogni 4-6 mesi un giro di locandine (o di manifesti) nel nostro paese e in quelli limitrofi bisognerebbe farlo; una affissione per 10-20 giorni, meglio se in punti strategici di passaggio e nei pressi dei centri commerciali. I clienti tendono a dimenticarsi, pur sapendo che il vostro ristorante esiste; allora meglio rinfrescare la memoria magari associando al nome anche qualche tipologia di evento, cibo o menu.
  3. la classica pubblicità, radio, tv locali, giornali e riviste, magazine locali; queste andrebbero fatte a rotazione, trimestralmente, aumentandone la quantità o focalizzando le uscite in determinati periodo, come ad esempio quelli considerati “morti” oppure durante le festività oppure se in zone turistiche concentrandole in quei periodi (dove ci sono molti turisti che non potranno sapere della vostra esistenza se non proprio vedendo o ascoltando la vostra pubblicità.
  4. gli “alberghi”, ma anche agriturismi e B&B; molto spesso hotel, alberghi, B&B “consigliano” ai propri clienti alcuni ristoranti nei dintorni oppure vicini alle loro strutture; una buona idea per un nuovo ristorante è farsi un giro per tutte le strutture ricettive, stipulare convenzioni o comunque parlare con i direttori affinché propongano “anche” il proprio locale. Magari fare una promozione del tipo: ai tuoi clienti se vengono a tuo nome, riconosco un 5% sul totale. Tra l’altro, il giro va rifatto perché anche li il personale cambia e spesso è stagionale; i nuovi dipendenti possono non sapere di voi.
  5. gli “uffici” sempre che facciate il business lunch, ovvero il pasto veloce per i lavoratori; anche qui accordandosi con le aziende è possibile riservare al loro personale uno sconto. Questa è una opzione interessante se vicino al ristorante vi è una zona commerciale e/o industriale oppure un polo di uffici della pubblica amministrazione.
  6. la “front line” ovvero la visibilità esterna del locale; gli imprenditori, i ristoratori tendono a curare meticolosamente la sala, ma se la gente passa a piedi o in auto e non “nota” non si accorge del nuovo ristorante, o peggio lo scambia per qualcosa di altro (magari prima di voi, li c’era un negozio di scarpe), avrete perduto molte possibilità di acquisire nuova clientela. E’ normale che una donna (sono più attente a queste cose) passando nota il nuovo locale e la sera a cena lo dice al compagno proponendogli di andarlo a provare. L’esterno è importantissimo… cosa fa si che una persona entri nel vostro ristorante? Sicuramente una bella vetrina o un ingresso accattivante. Se l’ingresso ad una donna non piace, state certi che non guardano il menu esposto, non entrerà e sceglierà un vostro concorrente. La front line, ovvero il muro, le vetrine e l’ingresso devono essere curatissimi e accattivanti.
  7. il “web marketing” e qui Instagram e Facebook la fanno da padroni e con successo; ma non basta certo mettere li 2 foto pubblicate ogni tanto o acquisire “followers” oppure “like”, bisogna saper fare il profilo e saperlo mantenere; il copywriter deve saper scrivere e comunicare in modo accattivante… usando modi e forme differenti. Anche il proprio sito deve essere ben fatto, perché se il “biglietto da visita” virtuale, il sito web, deve essere bello altrimenti fa l’effetto opposto. Anche il posizionamento nei motori di ricerca e/o su Google Maps deve essere fatto con criterio, perché per trovare il tuo ristorante, se conosce il nome non ha bisogno del motore di ricerca, ma se il potenziale cliente digita “ristorante di pesce a Lodi” deve poter uscire anche il tuo di ristorante (ammesso che tu proponga il pesce). Per far questo non c si improvvisa, ma servono professionisti che cureranno la nostra immagine aziendale seguendola nel quotidiano. Poi esiste TripAdvisor… è fondamentale, tramite questo mezzo arrivano nuovi clienti; ma va tenuto costantemente d’occhio e il manager del ristorante deve rispondere, sempre, garbatamente, sia a commenti positivi che a quelli negativi. Non è pensabile che non vi siano commenti da parte del ristoratore perché l’immagine che i clienti avranno è che il titolare se ne freghi di ciò che viene scritto.
  8. Le “mappe di Google” oggi sono fondamentali, sono gratuite, a sempre più persone quando si trovano in un luogo che non conoscono, o che frequentano poco, si affidano alle mappe per trovare ciò che a loro necessita; anche un bar o un ristorante.

Ecco alcune delle regole per far decollare il nostro locale, con una spesa modesta, ma con dei risultati sicuri.

Sempre relativamente al marketing della azienda (quindi del nostro ristorante), vediamo come lo stesso debba avere i “nuovi clienti” e quelli “affezionati” su cui si può fare affidamento.

Un ristoratore deve avere nuovi clienti e deve tenersi i vecchio clienti. Perché? Non si può pensare di far vivere un ristorante solo con nuovi clienti ma allo stesso tempo non si può pensare di farlo solo con i clienti fidelizzati; un ristorante deve avere un mix di nuovi clienti (che poi in parte diverrano “fidelizzati” ovvero vecchi clienti) e di vecchi clienti, fidelizzati; quelli che ritornano volentieri.

Ad un ristoratore i nuovi clienti servono; perché solo così potrà pensare di aumentare il proprio fatturato. Non possiamo pensare di vendere di più ai nostri già clienti; se vogliamo aumentare il fatturato e di conseguenza il numero dei coperti, solo in questo modo è possibile raggiungere lo scopo. Se poi il nostro è un ristorante che si sta avviando, oserei dire che i nuovi clienti siano proprio la base per un possibile successo.

Se si vuole “evolvere” o cambiare la tipologia del ristorante, ad esempio da una tipologia di cucina ad un’altro (penso da cucina della tradizione, tipica, ad internazionale o di pesce o gourmet, sia leggermente che molto, ci servono nuovi clienti, perché i vecchi vengono a mangiare da noi per il vecchio format, quello che desideriamo cambiare e non ultimo, rischieremo di perderne variando l’offerta. In ambito pizzeria io ho sempre sposato e incentivato il prodotto “pinsa romana” che con la pizza classica ha ben poco a che fare e ho sempre ritenuto poco conveniente tenere in linea entrambe le produzioni (molto differenti tra loro dalla produzione alla cottura); pertanto l’imprenditore che avesse deciso di inserire la “pinsa romana” a menu avrebbe nel contempo dovuto abbandonare la pizza classica e non tutti se la sono sentita, sicuri appunto, di perdere parte della clientela affezionata, senza però aver fatto nulla per sostituire, integrare ed aumentare i clienti persi con nuova clientela.

La compensazione naturale delle perdite: una fetta di nuovi clienti ci serve per compensare i vecchi che per un motivo o un altro perdiamo (i clienti hanno la necessità di cambiare, di spostarsi, di trasferirsi, oppure ha cambiato gli orari di lavoro); questa è una perdita prevedibile e indipendente dal nostro operato ma che ci obbliga ad acquisire nuova clientela per compensare quella perduta o solo disaffezionata.

Poi “investimento” ovvero, tutto ciò che potremo fare per avere nuova clientela è comunque un investimento, non solo economico ma anche di risorse umane. Se noi non abbiamo nuovi clienti non possiamo aspirare ad averne di vecchi; banalmente i vecchi clienti, sono stati necessariamente prima, nuovi clienti. Se non si investe in nuovi clienti, man mano che i vecchi finiranno, il ristorante sarà destinato alla chiusura dopo una lenta agonia. Servono i nuovi clienti, soprattutto se si sta aprendo un nuovo ristorante, visto che non si può contare su una clientela affezionata.

Invece bisogna capire perché servono i vecchi clienti anche quando si ha sempre nuova clientela: solo se aveste un locale ben posizionato in centro a Venezia, o a Firenze, si potrebbe vivere di soli nuovi clienti, di passaggio, mordi e fuggi (i turisti che vengono, mangiano e non li si vedrà più). In tutte le altre situazioni serve la clientela stabile; prima di tutto perché fanno da portafogli: se ho un insieme di clienti che mi tornano sistematicamente, ho una base sicura anche se variabile, sui singoli clienti; è una base statistica su cui posso contare, quindi so che tutti i giorni cucino 20 piatti, non so per chi, ma di sicuro quelli li venderò. Il portafoglio mi consente di lavorare un po’ meglio, con minori sprechi e fluttuazioni di clientela; sono pronto per un minimo consolidato. Questo mi farà appiattire la curva quindi la statistica e mi permetterà di acquistare materie prime in modo più oculato; sarà la mia scorta minima.

I vecchi clienti facilitano il turnover e pianificazione del personale: se si decide di lavorare solo con nuovi clienti, può capitare di avere un giorno 15 clienti e quello dopo 80 quindi le maestranze sia di cucina che di sala dovranno necessariamente essere differenti; ma non è che si trovino così al volo dipendenti pronti e disponibili a venirci incontro. Né possiamo assumere e poi non sfruttare del personale in eccesso nei giorni in cui il ristorante potrebbe vivere con un cuoco, un aiuto/lavapiatti e un cameriere perché avremo 15 coperti. E’ ovvio quindi sapere che poter contare su una base giornaliera di clienti(anche se non sempre necessariamente gli stessi) ci compensa da forti fluttuazioni e di conseguenza dalla necessità di variare il personale. Oltretutto se si decide di sottodimensionare il personale perché sono più i giorni con pochi clienti (magari il ristorante ha aperto da poco) e un giorno mi arriva una comitiva di 52 persone… li di sicuro si farebbe meglio ad non accettarla in quanto il servizio sarà pessimo, sia di sala con un solo cameriere ma in particolare di cucina visto che l’unico cuoco non potrà stare dietro alle richieste e all’uscita simultanea di 52 piatti.

Poi parte naturalmente una recensione su TripAdvisor, naturalmente negativa, con i tempi troppo lunghi di attesa, il cibo freddo o scotto, il servizio in sala non puntuale… e quella singola recensione avrà vanificato mesi se non anni di lavoro. Per una o dure recensioni negative ho visto ristoranti rischiare la chiusura, specie se non bene consolidati.

Voler tenere un nutrito gruppo di clienti “che tornano” quelli che nel marketing si definiscono fidelizzato, servirà al ristoratore anche per, ad esempio, testare nuovi piatti. Non si può chiedere ad un avventore di passaggio se gli è piaciuto quel nuovo risotto proposto (e che stiamo testando) perché a lui non interesserà essere obiettivo in quanto sa già che, essendo di passaggio, non tornerà. Il marketing dimostra che è sempre meglio fare il test su almeno l’80% di clientela affezionata. Perché? Semplicemente in quanto il ristoratore ha la necessità di fidarsi della risposta dei suoi clienti ed è su quelli affezionati, fidelizzati, che può e deve fare conto. Il cliente nuovo non sa nulla di te e tu nulla su di lui; baseresti la tua attività di ristoratore sul giudizio di un perfetto sconosciuto?

Da una parte abbiamo i clienti nuovi che ci servono per crescere, ampliarci e compensare la perdita di clienti affezionati; dall’altra vogliamo clienti fidelizzati, che tornano, e ci permettono di stabilizzare il locale, appiattiscono le statistiche, facilitano la gestione del personale dipendente e danno la possibilità di fare test con e su di loro per nuovi piatti.

Nel mondo della ristorazione, ma non solo, si è soliti calcolare il prezzo di vendita di un piatto moltiplicando per 3 il costo delle materie prime… ma il commercialista spesso allerta il ristoratore che con quegli incassi l’attività non è sostenibile. In qualche caso va moltiplicato per 4 ma anche per 5. In ogni caso il bilancio, da verificare mensilmente o trimestralmente deve diventare almeno pari se non in attivo.

La prima soluzione: aumento i prezzi? Ma così facendo è facile che possano diminuire i clienti. non è detto che sia una cosa del tutto sbagliata, certo, ma va ben ponderata. Ad esempio, se faccio un pranzo per lavoratori a 10 euro e di media ho 50 coperti al giorno, il mio incasso lordo sarà di 500 euro ma avrò strutturato il ristorante per servire in meno di 1 ora 50 persone e consumato materia prima per 50 pasti. Per 50 coperti ho bisogno di almeno 2 cameriere in sala e 2 o meglio 3 figure in cucina; ma se raddoppiassi il prezzo del mio menu offrendo piatti più allettanti, ben presentati e sfiziosi, l’incasso sarà lo stesso, magari, ma con solo 25 coperti; in questo caso mi basta 1 sola cameriera, 1-2 figure in cucina, ma sicuramente molte meno materie prime. Certo se ho una sala da 120 posti, riempirla per1/5 della capienza farà sembrare il ristorante perennemente vuoto (la vista gioca un bel ruolo in questo caso e per un cliente vedere tanti tavoli vuoti è sinonimo che il ristorante non stia lavorando quindi sarà portato ad andare altrove).

Altre possibilità… intanto non andiamo a lavorare o sacrificare la qualità delle materie prime; sappiamo tutti che non porta a nulla. La materia prima salvo casi eccezionali, incide per un massimo del 30% e se si spende 1000 euro a settimana di materie prime (quindi 4000 euro al mese), ma 15.000-20.000 euro al mese per tutte le altre spese, è su quelle che si deve andare a limare. Se abbasso la qualità delle materie prime e riesco a ridurre di anche 500 euro i costi mensili, rischio di perdere clientela per la qualità del prodotto che viene portato in tavola.

Il vero problema del ristorante sono gli stipendi delle maestranze e l’affitto, le utenze, i finanziamenti attivi… non le materie prime. Invece al posto di peggiorare la qualità delle materie prime, si potrebbe pensare si variare le stesse. Se vengono fatti piatti dove sono coinvolte certe materie prime pregiate, quindi molto costose, posso provare a cambiare piatti dove verranno coinvolte altre materie prime meno nobili e quindi meno costose.

Altra cosa che è possibile fare per ottimizzare le spese è saper sfruttare al massimo le materie prime: si può capire subito se si stanno sprecano le materie prime in base all’umido generato. Questo accade se non si ha una buona ingegnerizzazione del processo; per esempio se viene proposto il risotto all’ananas, ma anche l’ananas a fette come dessert, la parte esterna dell’ananas che viene eliminata e gettata, si può invece riutilizzare realizzandoci un brodo, che oltre ad essere commestibile, è ottimo per bagnare ed insaporire il risotto stesso (riducendo così la quantità di materia prima nobile all’interno). Anche le coste e le foglie del broccolo sono ottime per fare brodi o creme invece di essere gettate, ad esempio. Ma così un po’ tutta la verdura di scarto è possibile utilizzarla. Con le bucce delle castagne si fa un ottimo “brodo di castagne” e così basta pensare ad un piatto dove sfruttare tale brodo, ad esempio con dei passatelli oppure con del pesce. Si tratta sempre di lavorare e pensare a 360 gradi.

Altro problema sono le lavorazioni e l’approvigionamento delle derrate alimentari, del fresco; spesso si scopre che certe lavorazioni vengono fatte tutti i giorni per preparare la linea, invece si potrebbero fare ogni 2-3 giorni e conservare. Cuocere o grigliare dei peperoni ad esempio, o fare un battuto di sedano-carota-cipolla, o tagliare a rondelle la cipolla, sono preparazioni che possono essere conservate qualche giorno; lavare, pulire e grigliare 2 peperoni o 6 al cuoco non comporta alcuna perdita di tempo; necessita più o meno dello stesso tempo ma nei 2 giorni a seguire si avrà tempo per fare altro. Raggruppando i processi, si riducono i costi delle utenze, le ore di lavoro e di conseguenza gli stipendi, che sono il centro di costo più importante in una attività di ristorazione.

Si può impostare il menu in modo che le persone siano portate a mangiare di più. Facciamo un esempio; il cameriere fa accomodare al tavolo il cliente, e subito, a volte ancora prima di prendere la comanda, porta il pane e l’acqua. Il cliente, affamato, si fionda sul pane e… si sazia almeno in parte; così quando viene preso l’ordine, dopo aver mangiato magari 300g di pane, come si può pensare che il cliente possa ordinare la stessa quantità di portate che se fosse stato a digiuno e affamato? E’ ovvio che un cliente non ti ordini un antipasto o degli appetizers se si è già mangiato 300g di pane o 4 buste di grissini… o sbaglio? Idem per le bevande. come benvenuto, spesso si porta il prosecco e così per almeno la prima portata il cliente (specie se di sesso femminile) non ordina il vino e magari a piccoli sorsi si fa tutta la cena con il prosecco che gli è stato offerto e non paga. Caro ristoratore, fai caso a quante persone ordinano il vino con il secondo… e calcola quanti calici ti sei perduto, regalando un calice di prosecco. E questi clienti non sono dei taccagni, siamo noi come categoria che non abbiamo capito le dinamiche psicologiche della clientela.

E’ possibile impostare la presa della comanda e il menu per far si che cresca il fatturato; bisogna giocare su queste cose, anche semplicemente sulla impostazione del menu: se vengono messe nella zona alta certi piatti, saranno quelli ad essere i più venduti. A tal proposito sono stati fatti degli studi. Esiste la regola dei 180 secondi: se non la conoscete già prendete carta e penna perché questa regola è fondamentale alla costruzione del menù di un ristorante. Secondo questa regola il cliente impiega massimo 180 secondi per scegliere cosa ordinare, il che vuol dire che avete tre minuti di tempo per far ricadere la sua scelta sui piatti che volete promuovere maggiormente. Se il cliente non ha scelto entro 180 secondi, la preferenza ricadrà sul piatto più economico o sul piatto che è abituato a mangiare. Per questo, la disposizione grafica degli elementi in un menù e l’uso dei punti di ancoraggio visivo sono fondamentali per mettere in risalto le pietanze che volete vendere.

Un altro elemento fondamentale a livello grafico è la posizione del prezzo. Posizionare i prezzi dei vostri piatti nella colonna verticale destra del menù potrebbe risultare uno svantaggio: in questo modo sarà più facile per il cliente fare un confronto immediato tra i prezzi e sarà tentato a scegliere il più economico, soprattutto alla scadenza dei 180 secondi. Ma cosa accade in questi 180 secondi? Nei primissimi istanti il tuo cliente guarderà il menu così come si presenta. È uno sguardo rapido ma molto analitico. In questa fase si farà un’idea generale della tua offerta per cercare di capire se “è finito nel posto giusto”. Gli occhi del tuo cliente si muoveranno dal centro della pagina verso l’angolo in alto a sinistra per poi scorrere in alto a destra. In questa sorta di triangolo si trova la chiave per conquistare il suo favore. Non per niente è stato ribattezzato triangolo d’oro. È qui che devi concentrare le tue migliori proposte, in termini di convenienza e di profittabilità.

Una parte molto importante del tuo menu è lo spazio dedicato ai prezzi delle portate. L’ingegneria del menu dice che è importante non incolonnarli uno sotto l’altro perché la tendenza del cliente sarà quella di passarli in rassegna confrontandoli, senza dare peso alle pietanze. Insomma, il portafoglio ha la sua importanza! Ma c’è una tecnica per guidare la scelta del cliente che gli americani hanno definito “sandwich strategy” ovvero la strategia del panino. Questa tecnica consiste nell’aprire il menu (e lo stesso vale per la tua carta dei vini) con la pietanza meno cara. Sì, hai letto bene. La maggior parte dei tuoi clienti non vorrà fare la figura dello spilorcio e tenderà a guardare la seconda proposta, soprattutto se come terzo piatto ne inserirai uno piuttosto costoso. In menu organizzati seguendo questa regola, infatti, il piatto più ordinato è il secondo della lista. Fai tesoro di questo risultato statistico e inserisci il piatto che per te rappresenta quello a maggior margine in questa posizione strategica.

Un altro piccolo trucco è quello del “piatto esca” ovvero di un piatto leggermente più costoso degli altri, messo per primo in modo da fare sembrare tutti gli altri più economici; il cliente si sentirà libero di scegliere tra gli altri pensando ad un toccasana del proprio portafogli; un vero e proprio affare per noi, insomma.  ma ci sono altre possibilità per marginare di più e per farlo ci si rivolge al subconscio del cliente: spesso i piatti più venduti sono i primi 2 della lista e se questa fosse molto lunga, anche gli ultimi 2; qui andranno posizionati i piatti a maggiore marginalità e non necessariamente i più costosi. Infine un’altra tecnica è giocare sulle descrizioni dei piatti: pur mantenendo all’incirca della stessa lunghezza le descrizioni dei piatti, il trucco del “menu engineering” è quello di allungare la descrizione a quei piatti che si vogliono vendere di più. Se vi chiedete come mai, la cosa è semplici, un elemento grafico diverso dalla massa tutta uguale attira maggiormente l’attenzione, e una descrizione più accurata farà venire la famosa “acquolina in bocca” al cliente che 8 volte su 10 sceglierà proprio quel piatto. Se poi si sommano le varie tecniche esposte, il risultato sarà assicurato.

Il menu da solo non può certo fare miracoli: se la tua cucina non è all’altezza delle aspettative del cliente oppure le tradisce, non troverai di certo una efficace ancora di salvezza nelle pagine della tua carta. Tuttavia ci sono alcuni errori, molto comuni, che è possibile evitare per una organizzazione da subito più efficace del menu.

  1. Evita di riportare i prezzi in colonna, uno sotto l’altro, come spessissimo si vede. Così facendo dai modo al cliente di confrontare a colpo d’occhio i prezzi. È vero che in alcuni casi non sono una discriminante, ma i clienti guardano al portafoglio e le pietanze meno costose non sono certamente quelle sulle quali hai più margine.
  2. Se hai deciso di utilizzare delle immagini, come in molti ristoranti turistici è in uso di fare, sappi che devi stare molto attento: per un buon risultato in termini di business devi investire in un servizio fotografico personalizzato. Non puoi cioè proporre delle immagini prese da internet oppure da altre fonti perché non saranno mai rappresentative della realtà delle tue portate. Devi sforzarti di produrre immagini di qualità e corrispondenti davvero alle proposte che escono dalla tua cucina perché altrimenti le aspettative visive saranno immediatamente tradite e il pregiudizio del cliente si formerà a tuo sfavore.
  3. Realizza dei menu a prova di macchia: non c’è niente di peggio che ricevere un foglio unto, sporco e malandato. Assicurati di ottenere dalla tipografia che hai scelto un prodotto che sia adatto ad essere maneggiato molte volte oppure opta per la soluzione “tovaglietta menu” usa e getta quando la tipologia del tuo ristorante lo consente. Una soluzione molto gradevole, soprattutto quando si tratta di ristoranti per pranzi di lavoro veloci è organizzare una lavagna direttamente in sala.
  4. Menu chilometrici? No, grazie. Non cedere alla tentazione di costruire un menu corposo oltre il necessario. Renderai difficile il lavoro della cucina e del personale di sala oltre a disorientare i clienti nella scelta. Cerca di ideare la tua offerta inserendo poche portate per ogni categoria (antipasti, primi, secondi di carne, di pesce, etc) in modo da avere più tempo per lavorare sulla qualità. Le cose in grande si fanno in pratica, non in teoria!

Il ristorante, non mi stancherò di ripeterlo è una azienda; il cliente non è un pollo da spennare, vendere è legittimo, fare marketing è legittimo, guadagnare dal proprio lavoro è legittimo, ma è legittimo nella misura in cui il prodotto o servizio offerto, soddisfi le aspettative della clientela e che a fronte del mio guadagno, lui abbia la giusta soddisfazione.

Ci sta che il ristoratore tenti di guadagnare anche dai servizi che vengono offerti, ma il cliente non va mai spennato. Il sistema ristorazione sopravvive o meglio vive se ci sono entrambe le parti: fornitore e acquirente, ovvero ristoratore e cliente. Mi viene in mente una brutta moda tipicamente italiana: il coperto. Girando l’Italia ho visto coperti da 1 euro fino a 4 euro (che significa per un tavolo da 3 persone 12 euro ovvero quasi più di un primo) oppure una bottiglia di acqua, non da un litro ma spesso da 900mL venduta da 2 ad 8 euro (mi viene in mente la stessa Ferrarelle venduta a Milano da Sorbillo e da Cracco). Ora, cosa incide nel calcolo del “coperto”? Il tovagliato? Il cestino del pane? Se devo far pagare 1 euro di coperto, non sarebbe meglio aumentare di 50 centesimi ogni piatto togliendo il coperto? E se per svariati motivi facessi pagare 4 euro, non sarebbe più giusto calcolarlo sul tavolo e non sui commensali? Sicuramente verrebbe apprezzato dalla clientela, meno per chi va solo, maggiormente se si riempie il tavolo; ma la tovaglia è sempre quella, una appunto.

Non bisogna sottovalutare anche l’apporto di internet e dei portali come TripAdvisor dove chiunque può “raccontare” e descrivere come si sia trovato in un determinato locale, fare apprezzamenti oppure stroncare un ristorante semplicemente con un commento… poi quel nostro atteggiamento si paga e caro.

Ricordatevi che il cliente senza ristoratore non va a mangiare fuori ma vive lo stesso, il ristoratore senza cliente è destinato a chiudere. Pensiamoci.

Il tema non piacerà tanto a certi ristoratori… questa sezione è dedicata ai clienti.

Non andate a mangiare nei locali dove sapete che vi è sfruttamento; spesso docenti degli istituti alberghieri insegnano che è normale lavorare 16-14-12 ore tutti i giorni e va bene se si lavori “solo” 11 ore. In Italia esistono Leggi che regolano gli orari di lavoro e vengono fissate in 8 ore con 1 giorno di riposo. Ammesso che tu, dipendente sia così appassionato dal volerne fare di più, in primis verifica che quelle ore ti vangano pagate per intero, in secundis, che sia una tua scelta e non una imposizione del datore di lavoro.

Se tu cliente, vai in un ristorante che sai o che vedi il personale sfruttato (se sta aperto sia a pranzo che cena dovrebbe avere 2 brigate quindi personale differente e non lo stesso sia a pranzo che cena), non andarci, perché saresti complice di un sistema con lo sfruttamento. Gli ispettori lavorano, controllano; solo nella ristorazione invece verificano solo raramente.

Cosi come si leggono le recensioni sul cibo o ci si documenta sulla bontà di un determinato prodotto o negozio (internet oggi facilita questa cosa più del passaparola di un tempo), io non credo che chi abita in una cittadina non abbia mai sentito da un parente, un amico o conoscente che “in quel locale si fanno 14 ore” e sfruttano i dipendenti, oppure che tengano i dipendenti con contratti “a chiamata” quando invece questi lavorano 10 ore al giorno tutti i giorni. Vox populi… allora, se lo sai tu cliente, sei complice del sistema e se si desidera che il sistema ristorazione migliori, bisogna fare qualcosa per far cambiare le cose: i clienti boicottano quel locale; il personale smetterà di accettare contratti capestro e il ristoratore si vedrà costretto a smettere di fare contratti di questo tipo e rispettare il personale.

Lo so che brutto leggerlo, lo so che sbattuto in faccia così fa male… ma io ho visto ragazzi sia di sala che cucina lavorare 8 ore al giorno, 7 giorni su 7 con contratti a chiamata e 300 euro nette in busta paga e 300 date in nero. Queste cose non devono continuare ad esistere perché ne vale del rispetto per chi lavora.

Purtroppo non sarà più come prima; come ci si potrà organizzare: il ristoratore che semplicemente sta aspettando che si allentino le misure coercitive senza fare nulla, senza apporre modifiche alla propria struttura, il vero problema non è tanto relativo a ciò che la Legge consenta o meno di fare, ma di quale tarlo si sia infilato nella testa delle persone, dei clienti.

Se anche la Legge, poniamo, permetterà di avere un distanziamento di 20cm tra due persone, saranno queste ad aver paura a farlo; si è vero che alcuni non vedono l’ora di abbracciarsi e tornare a socializzare con delle belle tavolate, ma i più hanno paura. Bastano pochi mesi di isolamento per avere sintomi da stress post-traumatico, e qui siamo quasi ad un anno di allontanamento sociale imposto. Ci sono persone che stanno vivendo con stress e paura una riapertura.

Venendo alla ristorazione, gli spazi: rassegnatevi; dove prima si facevano accomodare 120 persone, non sarà più così; quel metro o più che si doveva (e si deve ancora) mettere tra 2 persone, posso farlo diventare funzionale? Posso metterci delle cose che possono servirmi, farmi comodo o semplicemente essere attrattive per il cliente? Un esempio: tra un tavolo e l’altro mettere ad esempio un ripiano dove i clienti possano appoggiare borse, borsette, cappelli, ecc. Quello che abbiamo visto fino ad ora come un problema ribaltiamolo in qualcosa di positivo, di utile, un plus.

In qualche caso converrà cambiare i camminamenti, la dislocazione della cassa, in altri casi modifiche all’ingresso/uscita magari separati; la forma di pagamenti, incentivando il contactless: questo attrezzo infernale, il pos, più odiato che amato dagli esercenti e non solo per i costi e le commissioni, sta diventano sempre più “obbligatorio” e la gente, in particolare le donne, ci pensano e rifiutano transazioni in contanti. Meglio ancora se viene portato il pos al tavolo, non per mancanza della voglia di recarsi alla cassa o lasciare la carta al cameriere, bensì per evitare di stare vicino o a contatto con altri estranei. Meglio ancora le transazioni elettroniche (

Ma queste forme di pagamento hanno le commissioni. Certo, ma domani vincerà e si accaparrerà mercato e clienti solo coloro che si saranno saputi rinnovare anche in questo campo. Quindi si potrà avere un aumento o diminuzione del fatturato e della clientela in base alle scelte fatte.

Un altro punto di innovazione: gli ordini, meglio se in remoto; dare la possibilità al cliente anche da remoto, prima che entri nel locale di effettuare l’ordine, il numero dei coperti e l’orario di arrivo in modo da rendere minimo il tempo di attesa. Certo, non tutti i locali possono permettersi una organizzazione di questo tipo (dipende anche dal tipo di menu che si ha) ma secondo il mio modesto parere, questa soluzione la trovo vantaggiosa sia per il cliente che per l’esercente (basti pensare che se il tavolo si libera prima sarà possibile rivenderlo nella stessa serata). La clientela del mezzogiorno sarà quella più interessata a questa formula specie per il ridotto tempo di attesa ma anche perché se nel locale prima la capienza era di 200 posti, ora scesa alla metà, meno tempo rimando con 100 sconosciuti e meglio sarà.

Un passo successivo è l’ordine online con pagamento anticipato, si perché se io ordino da casa o dall’ufficio e la cucina prepara per l’orario indicato, deve essere sicura che quel cibo verrà ritirato e pagato; quindi come per qualsiasi ordine online (vedi Amazon) si paga all’ordine e l’incasso è assicurato per il ristoratore.

Il “delivery” ovvero la consegna a domicilio; da mesi chi ci governa ha incentivato questa formula permettendo agli operatori di restare aperti con la formula della consegna a domicilio. Associando tutte queste strategie e integrandole tra loro, sicuramente i clienti saranno felicissimi di scegliervi anche verso concorrenti che lavorano un filino meglio ma che non hanno pensato di dare servizi aggiuntivi e/o alternativi.

Modifica dei menu: Siamo sicuri che i menu usati fino ad oggi possano ancora andare bene? Per esempio, basta l’uso dei buffet (in particolare nei ristoranti di hotel o in alcuni ristoranti strutturati per la ristorazione veloce); quindi o si mette una persona al buffet o lo si elimina; l’alternativa poco usata in Italia ma molto frequente nel mondo è “il piatto unico”. Se il vecchio menu era strutturato nelle 4 portate classiche: antipasto, primo, secondo e contorno, dolce, ora aggiungere 3-4 piatti unici potrebbe fare la differenza; ad esempio il cameriere viene al tavolo 3 volte in meno, termino di pranzare più in fretta (le stesse cose le mangio in un tempo inferiore) quindi la permanenza nel ristorante sarà ridotta (a beneficio della turnazione dei tavoli).

Si potrà obiettare che così son si andrà al ristorante per socializzare e rilassarsi… certo ci saranno anche quelli, ma dalle previsioni saranno una minima parte, quindi il ristorante dovrebbe sopravvivere solo con quelli? Ci saranno o verranno convertiti piccoli ristoranti, bistrot, trattorie, con meno di 30 posti dove chi vorrà passare una serata piacevole e rilassata ci si indirizzerà.

Per terminare, cosa il ristoratore può fare oggi per evitare che si dilatino i tempi di attesa; un esempio: ho un tavolo con 4 commensali che attendono di pagare e nel contempo ho 3 persone in ingresso che attendono si liberi un tavolo. Intasamento, assembramento, coda, si chiami come si vuole, da domani bisognerà evitarlo. Bisogna pensare da subito cosa fare per ottimizzare queste situazioni rendendo fluido e scorrevole il flusso di clientela, non dimenticandosi che già la capienza del locale è stata e forse resterà ridotta ma con tutte le spese fisse rimaste identiche (non per ultimo l’affitto), se in più di questa metà capienza non riesco a riempirla, oppure la riempio ma non tornano perché non sono rimasti soddisfatti, oppure mi si intrattengono troppo a lungo senza permettermi di rivendere il tavolo, il ristorante sarà destinato al fallimento.

Parafrasando che l’appetito viene mangiando, spesso mi è capitato di vedere ristoratori che accettano più clienti di quella che è la capienza del locale, magari facendo turnazioni veloci. Se il ristorante ha una capienza di 40 coperti e si è riempito, non bisognerebbe accettare 4 clienti in più anche se la sala si è svuotata perché sarebbero il 10%. Potremmo correre il rischio di non avere sotto controllo la situazione e la cucina, perché la quantità di produzione viene tarata per la capienza del ristorante.

Il nostro ristorante è una macchina capace di produrre un “x” giornaliero… ma come viene calcolato quell’ “x”? In base appunto alla capienza dei coperti. Invece la proprietà pensa che comunque finché si resta aperti si possa continuare a produrre e sfornare. Ristoratore, non dimenticarti che tu hai creato una macchina, pagata e rodata. Se hai una Fiat 500 non puoi andare a 160Kmh dalla mattina alla sera; se è quello che pretendi, non dovevi farti una utilitaria ma una ammiraglia, come un Mercedes. Puoi andare a 160 Kmh ma solo per il tempo di un sorpasso, o fonderai il motore. E così è per la tua struttura, dove il motore sono i cuochi e camerieri e l’auto è la sala. Perché il motore si usura precocemente, perché un momento all’improvviso il motore ti lascerà per strada… perché perderai le tue maestranze avendole messe troppo e a lungo sotto pressione.

Questo problema purtroppo però non è solo del titolare. Anche le maestranze, i cuochi, i camerieri… avete la forza, il coraggio di dire “ohh basta; abbiamo fatto i coperti previsti e adesso me ne vado”; un bel ciao e si saluta. Non c’è da mangiare perché si è preparato per la capienza del locale, non per un esercito. Poi se si cede alle pressioni della proprietà, ecco che stanchezza, la linea terminata, il nervosismo prenderanno il sopravvento e usciranno piatti non all’altezza.

E’ ovvio che la “mostra” macchina produttiva sarò di un certo numero di coperti; ma questo dovrà essere fatto assieme e preventivamente; raggiunto quel limite, non si dovranno accettare nuovi clienti fino al turno successivo perché la capacità produttiva sarà stata fissata per quel “x” giornaliero. Poi, certo, 1 o 2 persone in più si possono anche accettare, non come regola ma come eccezione, ma non la tavolata di 10 persone che arriva alle 23,30 quando l’orario di chiusura è fissato per le 24. Una eccezione potrebbe essere accettabile, ma se diventasse una regola si dovrebbe allungare l’orario di apertura e di conseguenza aumentare il personale. Ne vale la pena?

Lo so che per qualche ristoratore, più di uno per il vero, questa possa sembrare fantascienza, che potrebbero obiettare “ma tu allora non hai mai lavorato in un ristorante; nessun ristoratore rifiuta una tavolata anche se nei pressi dell’orario di chiusura”… certo, ma quanti ristoranti vediamo falliti poi? e quanti ristoranti hanno bruttissime recensioni su TripAdvisor e diamo la colpa ai clienti che non capiscono nulla.  Un cliente, una volta che lo hai accettato, se è entrato anche ad un quarto d’ora dalla chiusura, è uguale a quello arrivato alle 20 e va trattato allo stesso modo; se gli si fa fretta o qualche cavolata, poi ha tutto il diritto di lamentarsi fregandosene del fatto che gli si fosse fatto un favore perché si stava chiudendo, magari anche senza prenotazione.

Oppure caro ristoratore, accettando clienti in questo modo, ti assumi la responsabilità che tutto possa andare storto, dalla cucina al servizio di sala. Meglio stabilire quindi quali sono le nostre misure. Bisogna scrivere un bel cartello dove scrivere “noi siamo un ristorante che fa 40 persone al giorno”.

Non è detto che il metro di misura sia la quantità massima di persone al giorno, ma un altro metro può essere la quantità massima contemporanea, ovvero “le tavolate”… spesso  ho visto ristoranti che quando arriva una tavolata anche prenotata (e figuriamoci se non lo fosse stata) si blocca tutto il resto della sala. Poi arrivano recensioni “ho dovuto aspettare un ora e mezza prima di avere servito il secondo); e certo, la tavolata che va sempre servita simultaneamente ha monopolizzato la cucina. E’ normale, perché se in cucina stanno impiattando 20 primi per la tavolata, ho tutto fermo, non c’è neppure spazio per preparare altro. Se anche servissero 30 secondi per preparare ogni piatto, significa che per 20 piatti serviranno 10 minuti e in quei 10 minuti tutto il resto sarà fermo. Non si farà altro.

Allora meglio non prendere tavolate? Dipende… dalla capienza della cucina, dal numero di cuochi, ad esempio. Avendo una cucina che mi permette di preparare 20 piatti contemporaneamente e nel contempo un secondo cuoco che nel frattempo inizi a preparare per il tavolo successivo, potrei anche permettermi di prendere delle tavolate; altrimenti meglio evitare. Stabiliamo quali sono le nostre misure e i nostri limiti.

In Italia non è possibile fare le pulizie finché in sala vi sono clienti; quindi se serve 1 ora per pulire la cucina, non si può a ridosso dell’orario di chiusura al pubblico prendere altra clientela, perché non solo verrebbe sforato l’orario, ma anche perché si costringerebbe a prolungare di 2 ore il turno di lavoro già di per se massacrante. Al titolare sta comunque bene, il locale è suo… ma a me come dipendente no, ho una vita al di fuori del lavoro e gli orari andrebbero rispettati. Ma in quale negozio, o azienda, che non sia di ristorazione ti permetterebbero una cosa del genere? Un supermercato fa entrare i clienti già 15 minuti prima della chiusura e magari per prendere una sola cosa? Perché nella ristorazione non esistono limiti?

L’eccessivo turnover del personale è la principale causa dei problemi di un ristorante… e guarda caso dove c’è più turnover è in quei locali dove si sfruttano le maestranze, dove si porta allo stress continuativo i dipendenti, dove si lavora 14 ore anziché 8 o 9. Capita che in un anno vi sia un turnover di 2 anche 3 volte del personale o parte di esso, ma questa non è una cosa normale… non è giusto e succede perché si lavora male o si è sottopagati.

Ma il problema maggiore è verso la clientela, perché quando si superano i propri limiti, quelli studiati a tavolino, si avranno recensioni e commenti negativi… poi pensiamo al passaparola, quello negativo e quelli negativi fanno più facilmente il giro del paese. Dei clienti persi poi ti interessa qualcosa, caro ristoratore?

Non decidere a freddo quali siano i nostri limiti, perché in caso contrario si ha la sensazione di riuscire comunque a gestire la situazione ma nella realtà non è così; quando si è oberati di lavoro o nei pressi dell’apertura del ristorante, la razionalità, la freddezza scompaiono; manca la lucidità. Non posso dire io “quali” limiti non vanno superati, ma sento di invitare gli imprenditori e anche il personale che ci lavora, a fissare i propri limiti, quelli della struttura e rispettarli.