Esiste un concetto chiamato latitudine di posa che corrisponde quasi completamente alla gamma tonale riproducibile dalle nostre macchine fotografiche. È anch’essa espressa in stop fotograficie conoscerla ci può aiutare enormemente a migliorare i nostri scatti.

Noi non ce ne accorgiamo, ma in pratica, ogni volta che scattiamo una foto ci ritroviamo a combattere con la mancanza di latitudine di posa. In una giornata di media luminosità, i nostri occhi – che al momento sono ancora il migliore sensore esistente per vedere la luce – sono in grado di catturare non più del 10-15% della gamma disponibile. Solo il continuo spostamento dei bulbi oculari e la sapiente mediazione del cervello ci permettono di adattare la nostra vista a situazioni di estrema luminosità ad altre di buio.

Come premessa dobbiamo anticipare che la gamma tonale di una stampa o di una videata hanno sempre due livelli in più rispetto alla latitudine di posa. I due valori in più corrispondono al nero e al bianco che, proprio perché puri, non devono avere trame visibili e quindi non rientrano nella gamma utile che dobbiamo riprodurre. Facendo riferimento al sistema zonale di Ansel Adams, 11 sono le zone di toni riproducibili e rappresentano la gamma tonale (da 0 a 10) mentre le zone da 1 a 9 rappresentano la latitudine di posa necessaria a ottenere una foto ad alta gamma.

Ogni tecnologia ha differenti di LdP (da adesso la scriveremo così), cosa sempre trascurata al momento dell’acquisto, determinandone un preciso carattere e risultato. Tanto per essere precisi, la scelta di una macchina con sensore CCD ci permetterà di ottenere foto dal maggior contrasto ma dalla minore LdP; completamente opposto il risultato del sensore CMOS, più morbido ma con maggiore capacità di registrazione dei toni. La stessa scelta di scattare in formato RAW o JPEG può determinare una marcata differenza di LdP a parità di attrezzatura utilizzata. Infatti, il JPEG con i toni compressi si presenta con meno latitudine e un contrasto apparente maggiore. Il RAW è sempre meno brillante ma ha al suo interno maggiori toni e informazioni registrate. La LdP si misura in stop o EV (exposure value): nella foto analogica essa variava sensibilmente tra quelle a colori e quelle in bianco e nero e si differenziava ulteriormente se la pellicola era diapositiva o negativo. Il tutto, poi, si modificava ancora al cambiare della sensibilità ISO e della tipologia di sviluppo applicato. Le diapositive, per loro natura, più contrastate e brillanti, avevano una ristrettissima LdP che aumentava leggermente con l’incremento della sensibilità. Nel prospetto che pubblichiamo, cerchiamo di fornire un esempio di ciò che la vostra macchina fotografica potrebbe avere come LdP.

Tipologia Lat. posa min. Lat. posa max.
Pellicola diapositiva 4 5
Pellicola negativa a colori 5 6
Pellicola negativa B/N 6 10
Sensore CCD 6 8
Sensore CMOS 8 12

*Tabella basata su vari articoli e non su esperimenti scientifici.

Con l’avvento del digitale, si è cercato di aumentare artificiosamente la latitudine di posa in fotografica mediante la tecnica dell’HDR trattata qui in un articolo specifico; in sostanza effettuando 3 o 5 scatti in rapida sequenza a +1EV e -1EV e riunendoli con appositi software, si è riusciti ad ottenere più o meno quello che l’occhio umano è in grado di distinguere osservando una scena ad alto contrasto.

Da molti professionisti, però, l’utilizzo della tecnica HDR (3 o 5 scatti da sommare tra loro) viene ritenuto piuttosto “aggressivo” nei confronti dell’immagine e, a quanto pare, non risulta poi così apprezzato dal pubblico. Questo perché se pure si ottiene una gamma tonale molto più ampia dello scatto singolo, l’effetto finale spesso rende l’immagine poco naturale. E non bisogna dimenticarsi che per fare 3 o 5 scatti da sovrapporre la fotocamera non va assolutamente mozza e non ci deve essere nulla in movimento.

Personalmente, ritengo che l’HDR sia una tecnica molto stimolante, ma rendendomi conto di tutti i suoi limiti ho cercato delle soluzioni alternative.

Usando uno scatto “medio” in RAW (è fondamentale) con una buona fotocamera e con tempi di esposizione alti (per evitare il “micromosso”), con un qualsiasi CameraRAW aprire 3 volte lo stesso scatto tenendo fisse tutte le regolazioni eccetto per l’esposizione; in questo caso le altre due immagini avranno di media 1,5 stop in più e in meno, Successivamente aprire prima l’immagine sovraesposta (sullo sfondo), al centro copiare sul “livello1” l’immagine a stop 0, e sul “livello2” l’immagine sottoesposta. Quando si incollano le altre 2 immagini, usare l’opzione “incolla nella stessa posizione” così si eviteranno disallineamenti.

Selezionare con lo strumento più adatto (in base all’immagine) la zona da mascherare e posizionandosi sul livello centrale, mascherare con il colore “nero” le zone più scure, che non mostrano dettagli (nell’esempio, il ponte coperto); quindi ripetere l’operazione per evidenziare il cielo e la zona frontale sovraesposta e bilanciare l’esposizione, anche queste con maschere di livello. Infine, se necessita, regolare la cromia generale con i livelli di regolazione.

Questa tecnica seppur laboriosa perché interamente realizzata a mano in postproduzione, da risultati sicuramente più gradevoli e soprattutto personalizzabili, immagine per immagine e permette di realizzare stampe FineArt di altissima qualità.

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